numero

Novembre 2024

PARLIAMO DELL’UTOPIA

E DEL SUO CONTRARIO

di Louis De Combremont

Caro Giorgio, leggo che l’argomento principale di questo nuovo numero del riContemporaneo.org che stai preparando (ma dov’eri finito?) sarà quello delle utopie di ieri e di oggi, vale a dire l’immaginario applicato ai progetti e alle scelte di un reale progresso umano, la fantasia creatrice come motore universale di un nuovo umanesimo... Ma ti chiedo il loro contrario, cioè le distopìe che invece vediamo crescere oggi, dove le mettiamo? Sono dappertutto, sempre più pervasive e sempre più attive: più che progetti, più che teorie o ideologie, si manifestano già come cose compiute, come accadimenti in atto, come meccanismi avviati… Prendiamone una che a me pare la più perfida e pericolosa, attiva già da tempo ma incrementata esponenzialmente dalla crescita travolgente della telematica ieri, e dell’intelligenza artificiale oggi: la distopìa cioè che attiene alla nostra stessa percezione della realtà, di ciò che è vero o falso tra le cose che accadono attorno a noi. Dalla televisione alla sfera internet e social, dai giornali al cinema e all’editoria si direbbe difatti che non esista più una realtà reale, una verità inoppugnabile, vera per tutti come era ai tempi miei. E non parlo della relatività cui è ovviamente sottoposta ogni lettura delle cose, ogni punto di vista soggettivo in base a luoghi, culture, esperienze diverse, ma di qualcosa di più generale e universale. Qualcosa che si riassume nel fatto che oggi ogni dato, ogni notizia, ogni posizione appare passibile d’essere falsificata, trasformata, mutata nel proprio contrario per ingannare e fuorviare, al punto da portarci a pensare o credere una cosa piuttosto che un’altra. Ecco qui una tra le distopìe in via di realizzazione più pervasive e terribili della contemporaneità: un oggettivo svuotamento di credibilità, una sfiducia indotta in ciò che vediamo con i nostri occhi, qualcosa che potrebbe essere vero ma potrebbe anche essere stato manipolato e volgersi nel suo contrario. Mai nella storia dell’umanità si era determinata una tale incertezza generale, una tale mancanza di oggettività condivisa! Pensavamo che Orwell, la sua “neolingua” e la riscrittura continua del passato nel suo romanzo «1984» fossero un’intuizione tutto sommato romanzesca, e invece... Ora, è ovvio che non è di questa nuova tecnologia comunicativa la responsabilità del suo uso distorto e, appunto, distopìco. Ma non rendi “buona” una nuova tecnologia solo sopprimendola o negandola (come alcuni di noi sono tentati di fare): devi invece, come per tutte le tecnologie, imparare a usarla nel modo giusto e divulgarne a tutti l’uso corretto Per non parlare di quell’altra distopìa pervasiva e onnipresente, diciamo più specialistica ma non per questo meno attiva e pervicace nella società di oggi, che molto ci riguarda direttamente in quanto operatori e amanti dell’arte, e che appunto si chiama arte contemporanea. Beninteso non tutta l’arte che si viene facendo oggi, ma quella che si è autoproclamata invece come la sola e l’unica legittimata a definirsi con l’aggettivo contemporanea, cioè quell’insieme di tendenze, di scelte, di comportamenti purtroppo prevalenti e ormai maggioritari, quell’idea complessiva dell’arte che anche tu da anni, caro Giorgio, vieni criticando da queste pagine e che, nel mio piccolo, vengo anch’io denunciando quando posso come una vera e propria ideologia estetica regressiva, fatta solo in larghissima parte di sassolini e legnetti colorati, di aria fritta e rifritta, di idee senza materia e senza sentimenti, di giochi e trovatine ripetitive e autoreferenziali. E soprattutto di tanto, tantissimo, troppo mercato speculativo e vuotezza di glamour. Ma ne abbiamo già parlato molte, troppe volte… Insomma, malgrado gli strumenti straordinari che la scienza e le nuove tecnologie mettono a disposizione dell’umanità, malgrado il formidabile serbatoio di idee e risultati che la storia ci ripropone ogni giorno, si potrebbe davvero dire che al passaggio del primo quarto di secolo di questo nuovo millennio, tra una cosa e l’altra, tra disastri incombenti e cadute verticali di civiltà, tra utopie non realizzate e distopìe ben radicate, il vero progresso è ancora ben di là da venire. Sono troppo pessimista? È possibile, ma… Mah! come ha titolato un suo recente libro l’amico Marco Fidolini, che scrive su queste pagine - e come diceva anche mio nonno, allargando le braccia e alzando sconsolato le spalle. Adieu mon cher, e alla prossima volta.

riContemporaneo.org | opinioni, polemiche, proposte sull’arte contemporanea

7 | © blogMagazine pensato, realizzato e pubblicato in rete da Giorgio Seveso  dal 2011   |    Codice ISSN 2239-0235 |
Novembre 2024

PARLIAMO

DELL’UTOPIA E

DEL SUO

CONTRARIO

di Louis De Combremont

Caro Giorgio, leggo che l’argomento principale di questo nuovo numero del riContemporaneo.org che stai preparando (ma dov’eri finito?) sarà quello delle utopie di ieri e di oggi, vale a dire l’immaginario applicato ai progetti e alle scelte di un reale progresso umano, la fantasia creatrice come motore universale di un nuovo umanesimo... Ma ti chiedo il loro contrario, cioè le distopìe che invece vediamo crescere oggi, dove le mettiamo? Sono dappertutto, sempre più pervasive e sempre più attive: più che progetti, più che teorie o ideologie, si manifestano già come cose compiute, come accadimenti in atto, come meccanismi avviati… Prendiamone una che a me pare la più perfida e pericolosa, attiva già da tempo ma incrementata esponenzialmente dalla crescita travolgente della telematica ieri, e dell’intelligenza artificiale oggi: la distopìa cioè che attiene alla nostra stessa percezione della realtà, di ciò che è vero o falso tra le cose che accadono attorno a noi. Dalla televisione alla sfera internet e social, dai giornali al cinema e all’editoria si direbbe difatti che non esista più una realtà reale, una verità inoppugnabile, vera per tutti come era ai tempi miei. E non parlo della relatività cui è ovviamente sottoposta ogni lettura delle cose, ogni punto di vista soggettivo in base a luoghi, culture, esperienze diverse, ma di qualcosa di più generale e universale. Qualcosa che si riassume nel fatto che oggi ogni dato, ogni notizia, ogni posizione appare passibile d’essere falsificata, trasformata, mutata nel proprio contrario per ingannare e fuorviare, al punto da portarci a pensare o credere una cosa piuttosto che un’altra. Ecco qui una tra le distopìe in via di realizzazione più pervasive e terribili della contemporaneità: un oggettivo svuotamento di credibilità, una sfiducia indotta in ciò che vediamo con i nostri occhi, qualcosa che potrebbe essere vero ma potrebbe anche essere stato manipolato e volgersi nel suo contrario. Mai nella storia dell’umanità si era determinata una tale incertezza generale, una tale mancanza di oggettività condivisa! Pensavamo che Orwell, la sua “neolingua” e la riscrittura continua del passato nel suo romanzo «1984» fossero un’intuizione tutto sommato romanzesca, e invece... Ora, è ovvio che non è di questa nuova tecnologia comunicativa la responsabilità del suo uso distorto e, appunto, distopìco. Ma non rendi “buona” una nuova tecnologia solo sopprimendola o negandola (come alcuni di noi sono tentati di fare): devi invece, come per tutte le tecnologie, imparare a usarla nel modo giusto e divulgarne a tutti l’uso corretto Per non parlare di quell’altra distopìa pervasiva e onnipresente, diciamo più specialistica ma non per questo meno attiva e pervicace nella società di oggi, che molto ci riguarda direttamente in quanto operatori e amanti dell’arte, e che appunto si chiama arte contemporanea. Beninteso non tutta l’arte che si viene facendo oggi, ma quella che si è autoproclamata invece come la sola e l’unica legittimata a definirsi con l’aggettivo contemporanea, cioè quell’insieme di tendenze, di scelte, di comportamenti purtroppo prevalenti e ormai maggioritari, quell’idea complessiva dell’arte che anche tu da anni, caro Giorgio, vieni criticando da queste pagine e che, nel mio piccolo, vengo anch’io denunciando quando posso come una vera e propria ideologia estetica regressiva, fatta solo in larghissima parte di sassolini e legnetti colorati, di aria fritta e rifritta, di idee senza materia e senza sentimenti, di giochi e trovatine ripetitive e autoreferenziali. E soprattutto di tanto, tantissimo, troppo mercato speculativo e vuotezza di glamour. Ma ne abbiamo già parlato molte, troppe volte… Insomma, malgrado gli strumenti straordinari che la scienza e le nuove tecnologie mettono a disposizione dell’umanità, malgrado il formidabile serbatoio di idee e risultati che la storia ci ripropone ogni giorno, si potrebbe davvero dire che al passaggio del primo quarto di secolo di questo nuovo millennio, tra una cosa e l’altra, tra disastri incombenti e cadute verticali di civiltà, tra utopie non realizzate e distopìe ben radicate, il vero progresso è ancora ben di là da venire. Sono troppo pessimista? È possibile, ma… Mah! come ha titolato un suo recente libro l’amico Marco Fidolini, che scrive su queste pagine - e come diceva anche mio nonno, allargando le braccia e alzando sconsolato le spalle. Adieu mon cher, e alla prossima volta.

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