numero

novembre 2024

JE M’EN FOUS!

di Michele Cannaò Caro Giorgio, ho volentieri impiegato qualche ora per leggerti e leggere gli interventi di questo numero del riContemporaneo, un po’ perché ti stimo ed un po’ perché il tema dell’Utopia è sempre stato presente nella mia vita. Di solito evito di partecipare a qualunque discussione perché niente più mi aspetto da una società goliardica e banale, ed ancor meno mi aspetto da quella che è la generazione a cui appartengo: chi ha dai settant’anni in su dovrebbe solo provare vergogna per aver fatto strame dell’Utopia che sbandierava da giovane (personalmente diffidavo già allora di chi mi stava attorno e mi chiamava “compagno” e, quando giravo le spalle, brigava per il proprio privato interesse. Gente che, con l’età e l’esperienza, si è perfezionata e poi è diventata “professionista dell’ipocrisia”). Il mio dire, pur irriverente, non vuol essere irrispettoso, ma mi chiedo: c’è qualcuno, anche tra gli intervenuti, che può dire, in coscienza, di aver fatto vera opposizione al sistema di questi ultimi cinquant’anni, per farla andare davvero al potere l’Utopia? Pochissimi. Dell’opposizione attuale non parlo nemmeno , che del sogno ha davvero una pallidissima esperienza, posto che ogni tanto sogni! Parlo di quegli anni ’80 - quelli da bere - durante i quali non si incontrava oramai più nessuno al Bar Giamaica a Milano: quasi tutti gli artisti trentenni di allora avevano imparato a rincorrere il Critico d’Arte, anche il più sgangherato, per farsi legittimare da qualche galleria che era già avamposto di quello che poi sarebbe diventato il Mercato di oggi. E quei giovani artisti di allora erano disposti a compiacere e fare per il loro critico di riferimento qualsiasi cosa, pure l’inenarrabile! Quasi nessuno parlava d’Arte, l’obbiettivo era imperativo: essere presente! Che si trattasse della Biennale di Venezia o della Sagra dell’arte alla Cascina Barbina poco importava. I critici - categoria “professionale” assai diffusa in Italia, come quella dei commercialisti e dei personal trainers - cominciarono a dettar legge in quegli anni (io non li ho mai amati, preferendo a loro i giornalisti e gli storici dell’arte. Negli altri Paesi del mondo quasi non esistono i “critici”!). Ma tant’è: qualcuno di loro (allora il più potente) “inventò” in Italia l’ultima corrente. Gli altri critici si limitavano a fare dapprima da protettori e poi da sanguisughe degli artisti “consacrati”. Parlo della maggioranza, ovviamente, qualcuno, militante anche politicamente a sinistra, era ed è una brava persona. A tal proposito, mi viene da dire che l’attuale sistema dell’Arte non è migliore, “più avanti” di quello sociale e politico: piccoli personaggi nella politica, con i loro slogan triti e banali (a “destra” come a “sinistra”), vengono osannati dalla parte minoritaria del popolo ed in questa minoranza il “sistema” accredita la maggioranza di essa come “maggioranza per il Paese”, mentre la maggioranza vera rimane fuori, attonita, incredula e disorientata. Così nel “sistema dell’arte” una piccola minoranza di “addetti ai lavori” decreta che un ignorante ed inconsapevole “artista” (a detta sua e del suo massimo protettore) è un “genio della provocazione concettuale” ed ecco che la ”sua banana” viene battuta a 6 milioni di dollari. Gli altri? La maggioranza? Attonita, incredula e disorientata pensa che così va ormai il mondo. Niente di più falso però! Siamo noi tutti che facciamo andare così il mondo. Dagli anni Novanta in poi il dettato è stato, per tutto il mondo della cultura e dell’arte, cercare la sponda politica più influente, la protezione migliore. Sembra che mi stia riferendo ad un esercito di puttane. Nel 2007 alla Permanente di Milano ci fu la svolta ufficiale: a presiederla non più un Artista o un uomo o una donna di cultura ma il politico di collegamento con il “potere”, prima di destra e poi di sinistra. Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra? (Leggere canticchiando). In questi giorni si rimprovera ad un nuovo partito di non essere chiaro quando si definisce “progressista e indipendente”. Lo si accusa di rimanere nel generico e di non dichiararsi apertamente di sinistra. Ricordo a tutti, ed a me stesso, che nel 1991 il più grande partito della sinistra italiana si sciolse nel Partito democratico della sinistra (quello più piccolo si sarebbe autodistrutto per corruzione e consunzione). Ma non finisce qui: nel ‘98 diventa “Democratici di sinistra”. E nel 2007, finalmente, diventa Partito Democratico, facendo sparire il “posizionamento dichiarato”. Voi mi direte: ma è nei fatti che si vede chiara la differenza. Evito qui di elencare i “fatti” di sinistra del Partito Democratico. Questo per dire che anche gli artisti, a loro dire e nelle dichiarazioni programmatiche, si sono sempre dichiarati contrari, se non ostili ad un mercato ignobilmente governato da enormi speculazioni (molti dei quattrini che girano nel mercato artistico vengono poi utilizzati per finalità oscene. Io so. Voi sapete.). Però, poi... Di cosa lamentarsi quindi? Che ci hanno fottuti? No: ci siamo fottuti! Quanto all’età... io, da giovane, avrei voluto in volto le rughe di Eduardo e non intendevo vivere una vita lunga, ma larga. La mia Utopia l’ho vissuta grazie soprattutto ad un’alter ego (l’apostrofo non è un errore) che me lo ha permesso. Mi sono occupato di tante cose ed altrettante ne ho realizzate. E la mia Utopia la vivo ancora perché, vivendo in larghezza, non ho 70 anni ma 35. La gran parte di noi non sa morire, perché non ha saputo vivere, e si affida alle promesse della scienza. Io? Je m’en fous… me ne fotto!

riContemporaneo.org | opinioni, polemiche, proposte sull’arte contemporanea

Michele Cannaò  Pittore, incisore, scultore, regista teatrale e organizzatore di eventi culturali, Michele Cannaò nasce nel 1955. All’inizio degli anni 80 si trasferisce a Milano dove intraprende l’avventura interdisciplinare tra arti figurative e scultura, tra video opere e teatro. Le sue mostre personali, in Italia e all’estero, iniziate nel 1979 sono accompagnate da eventi performativi.  | © blogMagazine pensato, realizzato e pubblicato in rete da Giorgio Seveso  dal 2011   |    Codice ISSN 2239-0235 |
22 M.Cannaò, Trittico "L'umana condizione", cm900x200, 2021 Particolare di “Ad eccelse menti per anguste vite” (Purgatorio, tela a sinistra, cm 300x200) Particolare di “Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus” (Paradiso, dipinto centrale, cm 300x200) Particolare di “Danza macabra” (Inferno, tela a destra, cm 300x200)

polemiche e proposte sull’arte contemporanea

22
novembre 2024

JE M’EN FOUS!

di Michele Cannaò Caro Giorgio, ho volentieri impiegato qualche ora per leggerti e leggere gli interventi di questo numero del riContemporaneo, un po’ perché ti stimo ed un po’ perché il tema dell’Utopia è sempre stato presente nella mia vita. Di solito evito di partecipare a qualunque discussione perché niente più mi aspetto da una società goliardica e banale, ed ancor meno mi aspetto da quella che è la generazione a cui appartengo: chi ha dai settant’anni in su dovrebbe solo provare vergogna per aver fatto strame dell’Utopia che sbandierava da giovane (personalmente diffidavo già allora di chi mi stava attorno e mi chiamava “compagno” e, quando giravo le spalle, brigava per il proprio privato interesse. Gente che, con l’età e l’esperienza, si è perfezionata e poi è diventata “professionista dell’ipocrisia”). Il mio dire, pur irriverente, non vuol essere irrispettoso, ma mi chiedo: c’è qualcuno, anche tra gli intervenuti, che può dire, in coscienza, di aver fatto vera opposizione al sistema di questi ultimi cinquant’anni, per farla andare davvero al potere l’Utopia? Pochissimi. Dell’opposizione attuale non parlo nemmeno , che del sogno ha davvero una pallidissima esperienza, posto che ogni tanto sogni! Parlo di quegli anni ’80 - quelli da bere - durante i quali non si incontrava oramai più nessuno al Bar Giamaica a Milano: quasi tutti gli artisti trentenni di allora avevano imparato a rincorrere il Critico d’Arte, anche il più sgangherato, per farsi legittimare da qualche galleria che era già avamposto di quello che poi sarebbe diventato il Mercato di oggi. E quei giovani artisti di allora erano disposti a compiacere e fare per il loro critico di riferimento qualsiasi cosa, pure l’inenarrabile! Quasi nessuno parlava d’Arte, l’obbiettivo era imperativo: essere presente! Che si trattasse della Biennale di Venezia o della Sagra dell’arte alla Cascina Barbina poco importava. I critici - categoria “professionale” assai diffusa in Italia, come quella dei commercialisti e dei personal trainers - cominciarono a dettar legge in quegli anni (io non li ho mai amati, preferendo a loro i giornalisti e gli storici dell’arte. Negli altri Paesi del mondo quasi non esistono i “critici”!). Ma tant’è: qualcuno di loro (allora il più potente) “inventò” in Italia l’ultima corrente. Gli altri critici si limitavano a fare dapprima da protettori e poi da sanguisughe degli artisti “consacrati”. Parlo della maggioranza, ovviamente, qualcuno, militante anche politicamente a sinistra, era ed è una brava persona. A tal proposito, mi viene da dire che l’attuale sistema dell’Arte non è migliore, “più avanti” di quello sociale e politico: piccoli personaggi nella politica, con i loro slogan triti e banali (a “destra” come a “sinistra”), vengono osannati dalla parte minoritaria del popolo ed in questa minoranza il “sistema” accredita la maggioranza di essa come “maggioranza per il Paese”, mentre la maggioranza vera rimane fuori, attonita, incredula e disorientata. Così nel “sistema dell’arte” una piccola minoranza di “addetti ai lavori” decreta che un ignorante ed inconsapevole “artista” (a detta sua e del suo massimo protettore) è un “genio della provocazione concettuale” ed ecco che la ”sua banana” viene battuta a 6 milioni di dollari. Gli altri? La maggioranza? Attonita, incredula e disorientata pensa che così va ormai il mondo. Niente di più falso però! Siamo noi tutti che facciamo andare così il mondo. Dagli anni Novanta in poi il dettato è stato, per tutto il mondo della cultura e dell’arte, cercare la sponda politica più influente, la protezione migliore. Sembra che mi stia riferendo ad un esercito di puttane. Nel 2007 alla Permanente di Milano ci fu la svolta ufficiale: a presiederla non più un Artista o un uomo o una donna di cultura ma il politico di collegamento con il “potere”, prima di destra e poi di sinistra. Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra? (Leggere canticchiando). In questi giorni si rimprovera ad un nuovo partito di non essere chiaro quando si definisce “progressista e indipendente”. Lo si accusa di rimanere nel generico e di non dichiararsi apertamente di sinistra. Ricordo a tutti, ed a me stesso, che nel 1991 il più grande partito della sinistra italiana si sciolse nel Partito democratico della sinistra (quello più piccolo si sarebbe autodistrutto per corruzione e consunzione). Ma non finisce qui: nel ‘98 diventa “Democratici di sinistra”. E nel 2007, finalmente, diventa Partito Democratico, facendo sparire il “posizionamento dichiarato”. Voi mi direte: ma è nei fatti che si vede chiara la differenza. Evito qui di elencare i “fatti” di sinistra del Partito Democratico. Questo per dire che anche gli artisti, a loro dire e nelle dichiarazioni programmatiche, si sono sempre dichiarati contrari, se non ostili ad un mercato ignobilmente governato da enormi speculazioni (molti dei quattrini che girano nel mercato artistico vengono poi utilizzati per finalità oscene. Io so. Voi sapete.). Però, poi... Di cosa lamentarsi quindi? Che ci hanno fottuti? No: ci siamo fottuti! Quanto all’età... io, da giovane, avrei voluto in volto le rughe di Eduardo e non intendevo vivere una vita lunga, ma larga. La mia Utopia l’ho vissuta grazie soprattutto ad un’alter ego (l’apostrofo non è un errore) che me lo ha permesso. Mi sono occupato di tante cose ed altrettante ne ho realizzate. E la mia Utopia la vivo ancora perché, vivendo in larghezza, non ho 70 anni ma 35. La gran parte di noi non sa morire, perché non ha saputo vivere, e si affida alle promesse della scienza. Io? Je m’en fous… me ne fotto!
Michele Cannaò  Pittore, incisore, scultore, regista teatrale e organizzatore di eventi culturali, Michele Cannaò nasce nel 1955. All’inizio degli anni 80 si trasferisce a Milano dove intraprende l’avventura interdisciplinare tra arti figurative e scultura, tra video opere e teatro. Le sue mostre personali, in Italia e all’estero, iniziate nel 1979 sono accompagnate da eventi performativi. M.Cannaò, Trittico "L'umana condizione", cm900x200, 2021