Novembre 2024
2024 - ANNO ZERO
di Marco Fidolini
Mi
pare
che
per
quelli
della
mia
generazione
sia
sempre
più
difficile
cogliere
nel
presente
qualche
segnale
di
speranza
o
di
rassicurante
illusione.
Credo
invece
che
da
molti
decenni,
per
molti
di
noi,
senza
scomodare
il
pensiero
di
Tommaso
Moro
o
Campanella,
l
’utopia
rappresenti
davvero
l’ultimo
appiglio
consolatorio
per
illudersi
di
scampare
alla
valanga
delle
innumerevoli
derive
esistenziali.
Tutti,
consapevoli
o
meno,
siamo
costretti
quotidianamente
a
subire
gli
effetti
di
un
invasivo
sconquasso
globale
che
investe
funestamente
il
nostro
tempo.
Dai
numerosi
conflitti
mondiali
al
dissesto
dell’ecosistema;
dal
dominio
incontrastato
e
dilagante
dello
strapotere
economico-finanziario
al
dissennato
consumismo
indotto
e
celebrato
con
ostinata
e
supina
celebrazione.
Ma
con
altrettanto
turbamento,
più
nebuloso
e
devastante,
dovremmo
mettere
in
conto
il
precipizio della cultura, dell’arte e della politica.
È
pur
vero
che
quest’ultimo
aspetto,
come
è
spesso
accaduto
nella
storia
dell’umanità,
è
stato
sovente
un
epifenomeno
ai
margini
della
condizione
esistenziale.
Per
chi,
invece,
ha
speso
le
proprie
energie,
se
non
la
vita,
a
seguire
con
ostinazione,
acribia
e
inquietudine
altri
percorsi
ficcando
occhi
e
cervello
fra
le
pieghe
della
realtà
nel
tentativo,
spesso
illusorio,
di
carpirne
i
nessi
e
magari
contribuire
a
individuare,
indicare,
e
forse
a
sciogliere,
qualche
nodo
del
groviglio
esistenziale,
non
resta
che
lo
sconforto e la solitudine della sconfitta.
Penso
in
particolare
al
mondo
dell’arte.
Chi
abbia
voglia
di
sfogliare
i
numerosi
cataloghi
delle
rassegne
d’arte
italiane
tenutesi
nell’arco
temporale
fra
il
Sessanta
e
la
metà
degli
anni
Ottanta,
potrà
constatare,
mettendoli
a
confronto
con
quello
che
è
accaduto
in
seguito
–
e
fino
ai
nostri
giorni
–
quale
sia
il
senso
di
questo
suggerimento.
In
quell’arco
temporale,
pur
con
alcune
presenze
a
volte
discutibili
e
controverse,
una
certa
figurazione
artistica
imperava
nella
scena
italiana,
sostenuta
da
critici
quali
Carluccio,
De
Micheli,
Morosini,
Micacchi,
Solmi,
Santini,
Di
Genova,
ecc.,
ormai
scomparsi.
E
con
essi
sono
scomparsi
dal
panorama
artistico
–
e
non
solo
fisicamente
–
anche
quegli
autori
che
furono
protagonisti
di
quella
stagione
e
con
essi
anche
quelli
tuttora
viventi
delle
generazioni
appena
successive.
L’avvento
di
quell’arrogante
e
falsamente
democratico
pluralismo
culturale
–
sostenuto
con
albagia
dalla
critica
e
dal
potere
politico
–
ha
spazzato
via
ogni
sussulto
figurativo,
d’impegno
o
di
altre
variegate
tendenze,
aprendo
a
qualsiasi
idiozia
sperimentalista
e
neoavanguardista
uscita
dal
trogolo
neodadaista.
Degli
artisti
di
quella
generazione,
e
della
mia,
che
appartengono
all’arte
ormai
obsoleta,
si
sono
perse
le
tracce. Dimenticati e sepolti nel cimitero del passatismo.
A
questo
punto,
chi
continua
imperterrito
a
lavorare
nell’ombra,
fuori
dal
fantasmagorico
carrozzone
dell’arte
contemporanea,
fitta
di
artifici
e
di
banali
provocazioni
–
perfino
di
escrementi
–
e
fieramente
sostenuta
dai
fumi
del
turibolo
estetico
dei
nuovi
critici
e
dalla
finanza,
è
inevitabilmente fuori gioco.
Non resta dunque che rifugiarsi nell’utopia.
Anche
il
blog
di
Seveso,
che
pare
forse
l’ultimo
rifugio
innocuo
in
controtendenza
con
le
attuali
derive
artistiche,
lascia
vagheggiare
qualche
spiraglio
di
speranza
o
di
illusione,
affidandosi
però
alle
chimere
delle
utopie.
Ma
forse,
per
quanto
mi
riguarda,
intravedo
nel
suo
pregevole
impegno
un
briciolo
di
speranza
che
purtroppo
non condivido.
Ho
pensato
molto,
in
questi
ultimi
tempi,
al
drammatico
film di Rossellini (
Germania anno zero
).
Dopo
la
fine
della
seconda
guerra
mondiale
vi
furono
molte speranze e poche utopie.
Quella
pellicola
mi
ha
indotto
a
fare
una
serie
di
disegni
dal
titolo
2024
– Anno zero.
Questa
sì
che
è
davvero
utopia,
perché
nonostante
il
titolo
di
questi
fogli
sono
convinto
che
non
ci
sarà
un
altro
glorioso
dopoguerra
per
il
futuro dell’umanità o per i pochi anni che mi restano.
Fermate
il
mondo:
voglio
scendere,
come
recitava
lo
slogan
di
un
vecchio
Carosello
.