numero

novembre 2024

DE UTOPIA

di Giovanni Mattio Mi intriga l’argomento proposto, pur cosciente dell’ardua impresa di concepire un progetto utopico. Tanto più di fronte alle poche grandi utopie della storia del pensiero, quelle che definiscono i confini entro i quali l’umanità risolva almeno in parte la fatica del vivere. Le grandi utopie poggiano su una profonda e estesa riflessione filosofica, che comprende l’universalità del sapere. L’indagine sul cosmo, sulla condizione dell’uomo all’interno di esso, sulla complessità del suo essere, manifestarsi, condividere uno spazio, rivelare attitudini, aspirazioni dalle più umili alle più elevate converge per lo più nel disegno di una società ideale dalla quale ognuno tragga giovamento e profitto. Le vere utopie non soggiacciono a interessi di parte, ma rispondono all’innata ansia dell’uomo di alleviare, o migliorare la propria condizione. Le vere utopie non hanno realizzazione pratica, perché contemplano un ideale che il pensiero può concepire, ma i limiti della natura mortale vietano di raggiungere. Figure isolate vi attingono, filantropi, mistici, che attuano in stessi ciò che per gli altri può rappresentare uno stimolo, un modello con cui confrontarsi, al quale aspirare, grazie al quale elevarsi. L’utopia di una costituzione civile, sociale, gnoseologica, etica, culturale, collettiva, invece non si è mai realizzata. Se non nelle forme deteriori di stati tirannici, che perseguono fini individuali. Alla luce della storia e all’interno di questi limiti, ognuno aspira e si impegna per un mondo migliore, almeno per stesso. Quando il disegno positivo si fa più grande e coinvolge altri individui, avvengono quei cambiamenti che chiamiamo progresso. Di ciò negli ultimi due secoli è stata protagonista la scienza, con innegabili miglioramenti delle condizioni di vita di parte dell’umanità. L’utopia a questo punto ha terreno su cui misurarsi, per estendere il benessere all’umanità intera. Senonché, si scontra con l’egoismo innato della natura umana, sia a livello individuale, sia a livello collettivo. Il progresso dei risultati scientifici in senso lato sottrae forza ai disegni utopici, anzi vi si contrappone esibendo risultati concreti a fronte di fantasie, sogni, aspirazioni che volteggiano nell’aria. La scienza, con il suo agire pragmatico, oscura volontariamente o involontariamente, le elucubrazioni astratte, la proiezione nel mondo ideale, quella cultura che ha permeato i secoli e che semplificando chiamiamo umanistica. Da ciò il declino dell’arte, la sottrazione di significato, la negazione della sua funzione guida dell’agire. Dell’antico senso etico dell’arte sempre in senso lato se ne impadronisce la scienza. La quale non nega il bisogno dell’uomo di esprimersi attraverso l’immaginazione, ma ne nega la funzione conoscitiva, propositiva, predittiva, epistemologica. All’arte viene riconosciuto sempre meno persino il valore estetico, a favore di un valore commerciale, come di un prodotto di consumo. O, tutt’al più se ne privilegia il significato, - spesso oscuro, forzato - rispetto al significante. La funzione dell’arte come emozione, espressione di sensibilità collettiva, testimonianza eternatrice di un’epoca, tradizione e proiezione di ideali, è sbiadita, se non è venuta meno del tutto. Le è rimasto quello di stupire, senza ulteriori pretese. Nonostante questo, mai come adesso l’arte è esperita da una notevole quantità di individui che inseguono il sogno con caparbietà, vuoi per sfuggire alle logiche del potere (o dell’utile a tutti i costi), vuoi per aspirare a un soffio di eternità, o banalmente per trarre frutto dalle proprie attitudini. È questa la prova dell’esistenza radicata di una diffusa utopia, oppure semplicemente il fare artistico risponde al bisogno naturale e universale di un sogno ad occhi aperti che conforti la fatica del vivere? Propendo per la seconda ipotesi, essendo l’utopia una proposta globale di palingenesi, all’interno della quale l’arte riacquista la funzione sostanziale di espressione di sentimenti, la tensione e l’esortazione verso l’assoluto. In un mondo utopico in cui cessino, o almeno non prevalgano la violenza, la sopraffazione, l’avidità, l’ingiustizia sociale, il disprezzo dell’ambiente in cui viviamo. P.S. Oggi ho assistito alla visione del film “La storia di Souleyman” del regista francese Boris Lojkine, che affronta di petto l’esperienza dura, a tratti disumana, della vita di un immigrato: mi sono trovato ad auspicare l’urgente, assoluta necessità di una totale rigenerazione morale nell’umanità, per un’autentica convivenza. È utopia?

riContemporaneo.org | opinioni, polemiche, proposte sull’arte contemporanea

Giovanni Mattio  Nasce a Cuneo nel 1949. Dopo la laurea in lettere classiche, a partire dal 1973 affianca agli studi classici la ricerca artistica nell'ambito delle tecniche pittoriche, della grafica, della ceramica, della scultura. Dal 1989 vive e lavora a Milano.   Recenti e frequenti le incursioni letterarie. 12 | © blogMagazine pensato, realizzato e pubblicato in rete da Giorgio Seveso  dal 2011   |    Codice ISSN 2239-0235 |
G.Mattio, “Proiezioni dei desideri”, 2023,tecnica mista su tela, cm 100x70 G.Mattio, “Imbrigliare il tempo”, 2024, acrilici e resine su tela, poliuretano espanso, legno, cm 106x52
© blogMagazine pubblicato in rete da Giorgio Seveso dal 2011 - Codice ISSN 2239-0235

polemiche e proposte sull’arte contemporanea

12
novembre 2024

DE UTOPIA

di Giovanni Mattio Mi intriga l’argomento proposto, pur cosciente dell’ardua impresa di concepire un progetto utopico. Tanto più di fronte alle poche grandi utopie della storia del pensiero, quelle che definiscono i confini entro i quali l’umanità risolva – almeno in parte – la fatica del vivere. Le grandi utopie poggiano su una profonda e estesa riflessione filosofica, che comprende l’universalità del sapere. L’indagine sul cosmo, sulla condizione dell’uomo all’interno di esso, sulla complessità del suo essere, manifestarsi, condividere uno spazio, rivelare attitudini, aspirazioni dalle più umili alle più elevate converge per lo più nel disegno di una società ideale dalla quale ognuno tragga giovamento e profitto. Le vere utopie non soggiacciono a interessi di parte, ma rispondono all’innata ansia dell’uomo di alleviare, o migliorare la propria condizione. Le vere utopie non hanno realizzazione pratica, perché contemplano un ideale che il pensiero può concepire, ma i limiti della natura mortale vietano di raggiungere. Figure isolate vi attingono, filantropi, mistici, che attuano in stessi ciò che per gli altri può rappresentare uno stimolo, un modello con cui confrontarsi, al quale aspirare, grazie al quale elevarsi. L’utopia di una costituzione civile, sociale, gnoseologica, etica, culturale, collettiva, invece non si è mai realizzata. Se non nelle forme deteriori di stati tirannici, che perseguono fini individuali. Alla luce della storia e all’interno di questi limiti, ognuno aspira e si impegna per un mondo migliore, almeno per stesso. Quando il disegno positivo si fa più grande e coinvolge altri individui, avvengono quei cambiamenti che chiamiamo progresso. Di ciò negli ultimi due secoli è stata protagonista la scienza, con innegabili miglioramenti delle condizioni di vita di parte dell’umanità. L’utopia a questo punto ha terreno su cui misurarsi, per estendere il benessere all’umanità intera. Senonché, si scontra con l’egoismo innato della natura umana, sia a livello individuale, sia a livello collettivo. Il progresso dei risultati scientifici in senso lato sottrae forza ai disegni utopici, anzi vi si contrappone esibendo risultati concreti a fronte di fantasie, sogni, aspirazioni che volteggiano nell’aria. La scienza, con il suo agire pragmatico, oscura volontariamente o involontariamente, le elucubrazioni astratte, la proiezione nel mondo ideale, quella cultura che ha permeato i secoli e che semplificando chiamiamo umanistica. Da ciò il declino dell’arte, la sottrazione di significato, la negazione della sua funzione guida dell’agire. Dell’antico senso etico dell’arte sempre in senso lato se ne impadronisce la scienza. La quale non nega il bisogno dell’uomo di esprimersi attraverso l’immaginazione, ma ne nega la funzione conoscitiva, propositiva, predittiva, epistemologica. All’arte viene riconosciuto sempre meno persino il valore estetico, a favore di un valore commerciale, come di un prodotto di consumo. O, tutt’al più se ne privilegia il significato, - spesso oscuro, forzato - rispetto al significante. La funzione dell’arte come emozione, espressione di sensibilità collettiva, testimonianza eternatrice di un’epoca, tradizione e proiezione di ideali, è sbiadita, se non è venuta meno del tutto. Le è rimasto quello di stupire, senza ulteriori pretese. Nonostante questo, mai come adesso l’arte è esperita da una notevole quantità di individui che inseguono il sogno con caparbietà, vuoi per sfuggire alle logiche del potere (o dell’utile a tutti i costi), vuoi per aspirare a un soffio di eternità, o banalmente per trarre frutto dalle proprie attitudini. È questa la prova dell’esistenza radicata di una diffusa utopia, oppure semplicemente il fare artistico risponde al bisogno naturale e universale di un sogno ad occhi aperti che conforti la fatica del vivere? Propendo per la seconda ipotesi, essendo l’utopia una proposta globale di palingenesi, all’interno della quale l’arte riacquista la funzione sostanziale di espressione di sentimenti, la tensione e l’esortazione verso l’assoluto. In un mondo utopico in cui cessino, o almeno non prevalgano la violenza, la sopraffazione, l’avidità, l’ingiustizia sociale, il disprezzo dell’ambiente in cui viviamo. P.S. Oggi ho assistito alla visione del film “La storia di Souleyman” del regista francese Boris Lojkine, che affronta di petto l’esperienza dura, a tratti disumana, della vita di un immigrato: mi sono trovato ad auspicare l’urgente, assoluta necessità di una totale rigenerazione morale nell’umanità, per un’autentica convivenza. È utopia?
Giovanni Mattio  Nasce a Cuneo nel 1949. Dopo la laurea in lettere classiche, a partire dal 1973 affianca agli studi classici la ricerca artistica nell'ambito delle tecniche pittoriche, della grafica, della ceramica, della scultura. Dal 1989 vive e lavora a Milano.   Recenti e frequenti le incursioni letterarie.