numero

Novembre 2024

RIPARTIAMO DALLE

UTOPIE

di Giorgio Seveso

Questo blogMagazine è rimasto in silenzio per un bel po’ di tempo. Le ragioni? Un trasloco radicale dello scrivente (tale perché dalla grande Milano all’hinterland è stato un bel salto in termini di fatica, di adattamenti, di cose da fare), e certo anche le stanchezze dell’età che avanza, aggiunte a una sorta di scoramento impalpabile e sottile che, se non ci stai attento, ti erode la voglia di scrivere, di condividere, di intervenire. Insomma, l’assenza di nuove pagine non è da ascrivere solo alla pigrizia dell’autore ma all’intreccio di queste ragioni diverse, che ovviamente non rappresentano una scusa, ma in parte spiegano. Dunque il fatto di ritrovarsi qui, a ripartire col numero 20, significa che qualcosa oggi è cambiato? Niente affatto. Anzi, alcuni aspetti di quelle ragioni magari sono anche aumentati, si sono complicati e moltiplicati. Mala tempora currunt, ovvero siamo in mezzo a un sacco di guai... Credevamo che il peggio fosse passato sul piano della guerra e della pace, dei disastri ambientali, della crudeltà e insensatezza degli uomini, delle sciocchezze strampalate circolanti tra cultura di massa e un'arte sempre più di consumo e sempre più assente dalla vita. E invece. Invece eccoci qua a ventiquattro anni dall'inizio del terzo millennio, diciamo pure idealmente con una mano davanti e una di dietro alla mercé di accadimenti dai quali dipendono per noi, per i nostri figli e nipoti, per tutti sotto ogni latitudine e longitudine, ogni respiro quotidiano, ogni ragionevole futuro, dentro un frastornante circo Barnum fatto di terrapiattisti e adoratori di Jeff Kunst, fascismi di ritorno e pianeta in sfacelo ambientale, terrorismi e fanatismi e integralismi d’ogni specie e consistenza, diluizione progressiva e inarrestabile di ogni pensiero razionale: un elenco di iatture che non finisce più. Il mondo orwelliano di 1984 sembrava una sorta di intelligente boutade immaginifica sulle capacità dei sistemi umani di autodistruggersi, e invece quanto pericolosamente oggi appare vicino, nelle sue metastasi sociopolitiche, il pessimismo che lo pervade a fronte delle contraddizioni del nostro presente. Sarà forse anche per l'età, ma oggi come mai prima mi sembra sempre più chiaro che ci siamo rigiocate molte delle vittorie che davamo per acquisite. E che la frenetica immanenza di ciò che è effimero e provvisorio si viene mangiando ogni cosa realmente necessaria. Ora però sono ripartito, e ripartito pensando guarda un po’ al futuro, anche se alla mia età e all’età di molti dei miei amici la cosa può apparire, diciamo così, quantomeno contraddittoria… Ma, pensandoci bene, forse è proprio anche questa la ragione. Perché gli anziani, noi della terza fase della vita, abbiamo avuto modo di pensare molto bene alle cose, abbiamo avuto tutto il tempo di considerare accadimenti e idee, successi e sconfitte, speranze e delusioni; di soppesare a fondo idee e progetti, strategie e modi d’essere e di avere. E pertanto ciò che pensiamo del futuro può avere in buona misura un peso specifico considerevolmente più denso, più meditato, più vissuto... Ecco perché ricomincio. Ecco perché ho pensato che questo ventesimo numero del riContemporaneo.org dev’essere oggi dedicato alle speranze personali, grandi o piccole che siano. Cioè alle cose che ci sembrano doverose, indispensabili. Ai progetti di macrofuturo o microfuturo possibili. Alle strategie personali per gestire il lavoro, l’impegno, i rapporti. Dev’essere dedicato alle passioni e ai disgusti che ciascuno di noi risente elaborando ogni giorno il tempo del vivere. Dunque a ciò che vorremmo, che ci piacerebbe pretendere. A ciò che possiamo desiderare, per noi e per gli altri. Beninteso - come sempre - rivolgendo soprattutto il pensiero al mondo dell’arte contemporanea, e però anche, per proprietà transitiva, all’estensione di tutto quanto ci sta intorno, all’intera esperienza di tutto ciò che definisce il nostro presente, la sua consistenza, i suoi climi, le sue speranze e disperazioni. Le utopie di ciascuno di noi, che proviamo a confrontare.

riContemporaneo.org | opinioni, polemiche, proposte sull’arte contemporanea

Giorgio Seveso  Critico d’arte, curatore e giornalista, vive e opera a Milano dal 1969. Fondatore e conduttore di questo blogMagazine, è stato critico de l’Unità per quasi trent’anni.   È nato a Sanremo nel 1944. 2 | © blogMagazine pensato, realizzato e pubblicato in rete da Giorgio Seveso  dal 2011   |    Codice ISSN 2239-0235 |
«È all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A che serve l’utopia? Forse serve proprio a questo: a camminare». (Eduardo Galeano)
Una vignetta di Staino

polemiche e proposte sull’arte contemporanea

Giorgio Seveso  Critico d’arte, curatore e giornalista, vive e opera a Milano dal 1969. Fondatore e conduttore di questo blogMagazine, è stato critico de l’Unità per quasi trent’anni.   È nato a Sanremo nel 1944. 2
Novembre 2024

RIPARTIAMO DALLE

UTOPIE

di Giorgio Seveso

Questo blogMagazine è rimasto in silenzio per un bel po’ di tempo. Le ragioni? Un trasloco radicale dello scrivente (tale perché dalla grande Milano all’hinterland è stato un bel salto in termini di fatica, di adattamenti, di cose da fare), e certo anche le stanchezze dell’età che avanza, aggiunte a una sorta di scoramento impalpabile e sottile che, se non ci stai attento, ti erode la voglia di scrivere, di condividere, di intervenire. Insomma, l’assenza di nuove pagine non è da ascrivere solo alla pigrizia dell’autore ma all’intreccio di queste ragioni diverse, che ovviamente non rappresentano una scusa, ma in parte spiegano. Dunque il fatto di ritrovarsi qui, a ripartire col numero 20, significa che qualcosa oggi è cambiato? Niente affatto. Anzi, alcuni aspetti di quelle ragioni magari sono anche aumentati, si sono complicati e moltiplicati. Mala tempora currunt, ovvero siamo in mezzo a un sacco di guai... Credevamo che il peggio fosse passato sul piano della guerra e della pace, dei disastri ambientali, della crudeltà e insensatezza degli uomini, delle sciocchezze strampalate circolanti tra cultura di massa e un'arte sempre più di consumo e sempre più assente dalla vita. E invece. Invece eccoci qua a ventiquattro anni dall'inizio del terzo millennio, diciamo pure idealmente con una mano davanti e una di dietro alla mercé di accadimenti dai quali dipendono per noi, per i nostri figli e nipoti, per tutti sotto ogni latitudine e longitudine, ogni respiro quotidiano, ogni ragionevole futuro, dentro un frastornante circo Barnum fatto di terrapiattisti e adoratori di Jeff Kunst, fascismi di ritorno e pianeta in sfacelo ambientale, terrorismi e fanatismi e integralismi d’ogni specie e consistenza, diluizione progressiva e inarrestabile di ogni pensiero razionale: un elenco di iatture che non finisce più. Il mondo orwelliano di 1984 sembrava una sorta di intelligente boutade immaginifica sulle capacità dei sistemi umani di autodistruggersi, e invece quanto pericolosamente oggi appare vicino, nelle sue metastasi sociopolitiche, il pessimismo che lo pervade a fronte delle contraddizioni del nostro presente. Sarà forse anche per l'età, ma oggi come mai prima mi sembra sempre più chiaro che ci siamo rigiocate molte delle vittorie che davamo per acquisite. E che la frenetica immanenza di ciò che è effimero e provvisorio si viene mangiando ogni cosa realmente necessaria. Ora però sono ripartito, e ripartito pensando guarda un po’ al futuro, anche se alla mia età e all’età di molti dei miei amici la cosa può apparire, diciamo così, quantomeno contraddittoria… Ma, pensandoci bene, forse è proprio anche questa la ragione. Perché gli anziani, noi della terza fase della vita, abbiamo avuto modo di pensare molto bene alle cose, abbiamo avuto tutto il tempo di considerare accadimenti e idee, successi e sconfitte, speranze e delusioni; di soppesare a fondo idee e progetti, strategie e modi d’essere e di avere. E pertanto ciò che pensiamo del futuro può avere in buona misura un peso specifico considerevolmente più denso, più meditato, più vissuto... Ecco perché ricomincio. Ecco perché ho pensato che questo ventesimo numero del riContemporaneo.org dev’essere oggi dedicato alle speranze personali, grandi o piccole che siano. Cioè alle cose che ci sembrano doverose, indispensabili. Ai progetti di macrofuturo o microfuturo possibili. Alle strategie personali per gestire il lavoro, l’impegno, i rapporti. Dev’essere dedicato alle passioni e ai disgusti che ciascuno di noi risente elaborando ogni giorno il tempo del vivere. Dunque a ciò che vorremmo, che ci piacerebbe pretendere. A ciò che possiamo desiderare, per noi e per gli altri. Beninteso - come sempre - rivolgendo soprattutto il pensiero al mondo dell’arte contemporanea, e però anche, per proprietà transitiva, all’estensione di tutto quanto ci sta intorno, all’intera esperienza di tutto ciò che definisce il nostro presente, la sua consistenza, i suoi climi, le sue speranze e disperazioni. Le utopie di ciascuno di noi, che proviamo a confrontare.
«È all’orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A che serve l’utopia? Forse serve proprio a questo: a camminare». (Eduardo Galeano)