novembre 2022
ANCHE NELLO YEMEN
CI SONO BAMBINI
di Lucio
A
scanso
di
equivoci
preciso
subito
che
considero
l’aggressione
militare
contro
l’Ucraina
un
crimine
e
una
tragedia,
e
ciò
che
mi
sconvolge
al
pari
delle
sofferenze
immediate
inferte
dalle
armi
è
il
pensiero
delle
molteplici
ferite
che
la
guerra
lascerà
e
dei
decenni
che
saranno
necessari
per
sanarle
o
quantomeno
lenirle.
Preciso
anche
che
trovo
irritante
e
fuorviante
parlare
adesso
delle
“ragioni
della
Russia”;
so
bene
che
quelle
ragioni
esistevano
ed
erano
fondate,
soprattutto
in
relazione
alla
tutela
dei
russofoni
di
Ucraina
e
per
la
Crimea,
che
sino
al
1954
era
parte
del
territorio
russo,
ma
non
possono
in
alcun
modo
giustificare
l’aggressione
e,
men
che
meno,
le
atrocità,
sarebbe
come
se
pretendessimo
di
rispondere
con
le
bombe
a
mano
alla
maleducazione
di
un
vicino
di
casa
che
ascolta
la
musica
a
volume
troppo
alto.
E
aggiungo
pure
che
mi
infastidisce
sentir
parlare
di
aggressione
“di
Putin”
e
non
“della
Russia”,
perché
significa
far
finta
di
dimenticare
che
nella
nostra
epoca
un
dittatore,
fino
a
quando
non
porta
il
suo
paese
alla
rovina,
comanda
sempre
con
l’appoggio
della
maggioranza
della
popolazione,
così
come
è
accaduto
con
Mussolini
e
con
Hitler;
per
la
nostra
cattiva
coscienza
è
comodo
parlare
come
se
ci
fosse
soltanto
un unico malvagio responsabile.
Bene,
posta
questa
doverosa
premessa,
devo
dire
che
le
manifestazioni
corali
di
commozione
e
indignazione
per
la
guerra
in
Ucraina
mi
provocano
l’orticaria,
non
riesco
a
vederle
come
una
reazione
genuina
e
consapevole
alla
mostruosità
della
guerra,
perché
se
davvero
fossimo
toccati
nell’intimo
da
quella
mostruosità
avremmo
dovuto
darne
già
da
tempo
qualche
segno
tangibile
anche
per
tutte
le
altre
simili
tragedie,
ad
esempio
quella
dello
Yemen.
Nel
2014
in
quel
paese
c’è
stato
un
conflitto
civile
che
ha
visto
prevalere
i
sostenitori
dell’ex
presidente
Saleh,
invisi
al
governo
dell’Arabia
Saudita
perché
appoggiati
anche
dalla
maggioranza
sciita
del
paese
e
dalla
milizia
sciita
Huthi
che
intrattiene
buoni
rapporti
con
l’Iran.
Nel
2015,
quando
i
sostenitori
di
Saleh
stavano
per
sconfiggere
definitivamente
la
fazione
opposta
guidata
da
Mansur
Hadi
e
impossessarsi
della
città
di
Aden,
l’esercito
saudita,
con
l’ausilio
di
truppe
inviate
da
altri
otto
paesi
arabi
e
di
armamenti
generosamente
forniti
dai
governi
di
USA
e
Gran
Bretagna,
ha
sferrato
un
attacco
massiccio,
dando
inizio
a
una
guerra
spaventosa
che dura tuttora.
I
bombardamenti
sauditi
hanno
colpito
sistematicamente
le
città
senza
risparmiare
né
ospedali
né
scuole,
secondo
una
stima
pubblicata di recente anche dal quotidiano Avvenire i morti tra i civili
yemeniti,
incluse
le
vittime
indirette,
sono
quasi
380.000,
e
secondo
Save
the
Children
i
profughi
(tutti
interni
al
paese)
sono
oltre
quattro
milioni,
di
cui
più
della
metà
sono
bambini.
Nonostante
l’enormità
della
distruzione
messa
in
atto
e
la
superiorità
dei
mezzi
di
cui
i
sauditi
possono
disporre,
la
situazione
sul
campo
rimane
pressoché
invariata,
gli
Huthi
e
i
loro
alleati
controllano
ancora
la
parte
settentrionale dello Yemen con la capitale Sana’a.
La
devastazione
dello
Yemen
e
del
suo
popolo
va
avanti
da
sette
anni
nella
totale
indifferenza
dei
paesi
occidentali,
dei
loro
(nostri)
governi
e
parlamenti,
delle
loro
(nostre)
organizzazioni
sovranazionali,
dei
loro
(nostri)
intellettuali,
dei
loro
(nostri)
organi
di
informazione,
e
della
loro
(nostra)
opinione
pubblica,
a
noi,
all’Occidente
autoproclamatosi
depositario
in
via
esclusiva
degli
autentici
valori
di
civiltà
e
democrazia,
non
interessa
niente.
Sarebbe
sciocco
stupirsene,
non
è
certo
la
prima
volta
che
rimaniamo
indifferenti
davanti
all’orrore,
ad
esempio
non
ricordo
particolari
scene
di
commozione
e
indignazione
quando
le
forze
armate
russe
distrussero
la
Cecenia,
e,
d’altronde,
anche
lì
sono
musulmani,
possono
pure
crepare
senza
che
ce
ne
turbiamo
troppo,
e
nello
Yemen,
oltreché
musulmani,
sono
anche
un
po’
scuri
di
carnagione,
figuriamoci
se
possiamo
mai
sprecare
le
nostre
preziose
lacrime
democratiche per dei mezzi negri islamici.
Naturalmente,
superfluo
dirlo,
nei
confronti
dell’Arabia
Saudita
responsabile
della
guerra
e
di
crimini
orrendi
i
paesi
civili
e
democratici
dell’Occidente
si
sono
ben
guardati
dall’applicare
sanzioni
o
pronunciare
condanne
o
emettere
diffide,
i
sauditi
sono
nostri
alleati
intoccabili,
e
non
importa
se
provocano
massacri,
se
tengono
le
donne
in
uno
stato
di
minorazione,
e
se
agli
oppositori
del
regime
può
capitare
di
finire
letteralmente
squartati
come
l’infelice
Jamal
Khashoggi.
E
ci
è
toccato
pure
sentire
Renzi
sbavare
lodi
sperticate
per
il
principe
Salman
e
paragonare
l’Arabia
Saudita
alla Firenze di Coluccio Salutati.
L’operato
delle
istituzioni
politiche
e
di
chi
detiene
il
potere
è
vergognoso,
ma
il
senso
di
vergogna,
e
di
paura,
è
destinato
ad
amplificarsi
ancor
più
se
proviamo
a
domandarci
per
quale
ragione
la
grande
massa
delle
persone
reagisca
in
maniera
tanto
difforme
davanti
a
tragedie
in
tutto
e
per
tutto
simili,
si
commuova
platealmente
per
i
bambini
ucraini
e
non
prenda
neppure
in
considerazione
il
fatto
che
anche
nello
Yemen
ci
sono
bambini,
come
se
i
musulmani
nascessero
già
adulti,
oltreché
cattivissimi,
beninteso.
Temo
fortemente
che
la
spiegazione
risieda
nel
degrado
cerebrale
collettivo
che
caratterizza
questa
nostra
società
costruita
sul connubio di consumismo avanzato e tecnologia digitale.
Invero,
tutti
sappiamo
cosa
sta
accadendo
nello
Yemen,
le
notizie
sono
facilmente
accessibili
in
rete,
non
c’è
un
complotto
per
nasconderle,
ne
parlano
periodicamente
anche
gli
organi
di
informazione
più
seguiti;
tuttavia,
è
innegabile
che
questo
flusso
ordinario
di
informazioni
risulta
insufficiente
al
fine
di
radicare
nei
lettori
e
ascoltatori
la
piena
consapevolezza
dei
fatti
e,
quindi,
di
innescare
le
reazioni
intellettive
ed
emotive
che
possono
conseguire
solo alla presa di coscienza.
Il
punto
è
che
la
nostra
capacità
di
ascoltare
e
ragionare
è
seriamente
compromessa,
innanzitutto
perché
da
diversi
decenni
la
comunicazione
pubblica,
di
qualsiasi
genere,
si
è
sempre
più
adeguata
al
linguaggio
della
pubblicità,
ogni
giorno
riceviamo
una
sequela
di
sollecitazioni
alla
pancia,
all’emotività
più
viscerale,
la
politica
non
veicola
più
idee
ma
slogan,
i
giornalisti
per
la
maggior
parte
non
offrono
resoconti
bensì
messaggi
veloci
ad
effetto,
persino
le
previsioni
meteorologiche
sono
diventate
uno
show,
se
fa
freddo
c’è
la
morsa
del
gelo
o
la
sciabolata
artica,
se
fa
caldo
arrivano
i
mostri
con
nome
da
fumetto
mitologico,
Caronte,
Flegetonte,
Lucifero,
e
gli
ufficiali
dell’aeronautica
hanno
ceduto
il
posto
a
ragazze
bellissime
con
minigonne
vertiginose.
E,
in
aggiunta,
l’uso
prolungato,
anzi,
permanente,
di
smartophone,
tablet
e
computer
ha
distrutto
la
capacità
di
concentrazione,
ci
spinge
a
saltare
ininterrottamente
da
un’attività
all’altra
dedicando
ad
ognuna
una
frazione
ristretta
di
tempo
e
di
attenzione
con
il
risultato
che
diventiamo
sempre
più
incapaci
di
osservare
e
ascoltare
nei
dettagli
ed
elaborare
un
ragionamento
articolato
e
minimamente
complesso;
non
è
una
mia
fisima,
lo
sostengono
e
lo
hanno
accertato
scienziati
e
istituti
di
ricerca
in
tutto
il
mondo,
mi
limito
solo
a
richiamare
il
libro
di
Manfred
Spitzer
sulla
demenza
digitale,
un
testo
la
cui
lettura
dovrebbe
essere
resa
obbligatoria
in
tutte le scuole, se possibile estendendo l’obbligo anche ai genitori.
Usando
un
organo
del
pensiero
così
gravemente
menomato,
è
inevitabile
che
la
notizia
letta
o
ascoltata
ogni
trenta-quaranta
giorni
sulla
guerra
nello
Yemen
scivoli
via
insieme
a
tutte
le
altre,
nell’alluvione
entropica
indistinta
e
inarrestabile
in
cui
si
mischiano
annunci
pubblicitari,
slogan,
pettegolezzi,
barzellette,
sport,
e
anche,
ahimé,
informazioni
importanti.
Se
per
la
guerra
in
Ucraina
le
cose
vanno
diversamente
è
perché
siamo
esposti
a
un’informazione
continua,
ogni
giorno,
a
tutte
le
ore,
in
ogni
notiziario,
in
ogni
trasmissione
anche
di
intrattenimento,
su
ogni
sito,
il
messaggio
si
ripete
incessantemente,
l’Ucraina,
la
guerra,
i
bambini,
e
poi
la
guerra,
i
bambini,
l’Ucraina,
e
poi
i
bambini,
l’Ucraina,
la
guerra,
e
alla
fine
lo
si
capisce,
purché
non
si
smetta
di
rinnovare
sempre
la
stimolazione;
è
come
con
i
malati
di
Alzheimer,
dimenticano
tutto
e
bisogna sempre ripetere loro le stesse cose.
Sia
chiaro
che
non
sto
stigmatizzando
l’enfasi
con
cui
i
mezzi
di
informazione
trattano
la
guerra
in
Ucraina,
sto
cercando
di
mettere
in
evidenza
un
problema
sociale
drammatico,
il
progressivo
rincretinimento
di
massa,
il
pericolo
più
grande
per
la
democrazia
e
per
la
stessa
sopravvivenza
della
specie.
Se
non
siamo
più
capaci
di
ascoltare,
osservare
e
ragionare
diventiamo
burattini
facilmente
manipolabili,
non
siamo
più
in
grado
non
si
dice
di
elaborare
una
critica
verso
chi
detiene
il
potere,
ma
neppure
di
capire
cosa
sta
accadendo.
Prendiamo,
ad
esempio,
il
tema
delle
forniture
di
armi
all’Ucraina,
non
è
una
questione
che
si
possa
decidere
sull’onda
dell’emotività,
e
se
è
vero
che,
da
un
lato,
non
ha
senso
opporsi
a
priori
solo
invocando
genericamente
l’art.11
della
Costituzione,
d’altro
lato
dobbiamo
anche
renderci
conto
che
sarebbe
folle
lasciarsi
trascinare
dall’esaltazione
antirussa,
che
al
di
là
di
un
certo
limite
ormai
vicino,
e
che
sarebbe
stato
già
ampiamente
oltrepassato
se
avessimo
assecondato
le
richieste
di
Zelensky,
si
sconfina
nella
belligeranza
vera
e
propria,
ovvero,
nella
guerra
mondiale.
Vogliamo
provare
a
ragionare?
Vogliamo
provare
a
rivitalizzare
quei
pochi
neuroni ammaccati che ci sono rimasti?
Come
spesso
accade,
anche
questa
riflessione
della
«sentinella
in
poltrona»
mi
sembra
degna
di
nota.
E
dunque
la
pubblico
qui
sperando
che
l’autore non se ne abbia a male. (G.S.)