Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Qui trovi i numeri pregressi Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Aspetto il tuo intervento... Torna alla pagina principale... INTERVENTI Un intervento di Giorgio Seveso Il pulsante AGGIORNA Clicca spesso il pulsante Aggiorna del tuo navigatore per essere certo di vedere i testi aggiunti dalla tua ultima visita SOMMARIO   RIFLESSIONI, POLEMICHE, PROPOSTE DI ARTE CONTEMPORANEA                                                                      POETICHE E POLITICHE AL TEMPO DELLA CRISI La cultura e l’arte d’oggi tra ricerca di senso e ristrettezze materiali e morali A quanto possiamo vedere attorno a noi, gli artisti nostrani non sono impermeabili alla crisi che attanaglia il presente, almeno non meno di quanto lo siano altre categorie come la loro, a metà tra gli artigiani e gli intellettuali. Anzi, la stragrande maggioranza se ne mostra particolarmente toccata, essendo loro già abitualmente depressi, frustrati, debilitati da un sistema di gestione dell'immaginario e dell'estetico che oggi, nella prevalente considerazione della nostra arte contemporanea, li taglia praticamente fuori dalla circolazione, estranei alla sensibilità di massa, "oggetti" talvolta concupiti ma quasi mai davvero compresi e accettati nell'interezza della loro vera natura, nella specificità del loro specialissimo contributo alla quotidianità della nostra vita ed alla coscienza di massa che ne abbiamo. Ecco perché vogliamo riflettere, qui, sui contenuti che pittori e scultori sollevano reagendo e operando nella nostra realtà:  cioè sulle loro poetiche, l'insieme dei giudizi e dei sentimenti che riversano nelle loro elaborazioni. E vogliamo farlo in rapporto al funzionamento delle forme sociali che connotano il loro lavoro: vale a dire le cosiddette politiche culturali, le strutture che governano modalità e circostanze materiali del loro lavoro nel rapporto con la società. Le circostanze della crisi che stiamo vivendo  - la quale, in quanto condizione della società, è epocale ma non per questo meno contingente e artificiale - dovrebbero indurre a cambiare, e stanno realmente modificando, molte delle strutture e delle idee che governano il funzionamento e il ruolo stesso dell'economia e della finanza nella nostra vita, o almeno il punto di vista che finora la maggioranza delle persone ne ha avuto. Perché allora tali circostanze non dovrebbero anche intervenire a modificare gli attuali meccanismi di avvalorazione dell'attività degli artisti? A cambiare in qualche modo il rapporto tra il loro lavoro e la fruizione sociale che oggi si è determinata? È evidente a tutti che, in fondo, la loro maniera di pensare e produrre opera, i modi della società di servirsene, è ancora quella d'una ideologia ottocentesca del mercato d'oggetti: della produzione, offerta e acquisto di cose. Vale a dire una semplice mercificazione, sia pure particolare e di speciale pregio qualitativo. È proprio questa, del resto, una delle cause di fondo che spiega la caduta di tensione e l'inconsistenza civile della maggioranza della produzione artistica contemporanea. Ne è anzi la ragione stessa.  E se dunque qualcosa andasse rivisto proprio grazie al marasma della crisi, se qualcosa cambiasse per reazione al disastroso stato delle cose, allora ecco che la crisi troverebbe anche qui - come trova quella critica al funzionamento della finanza e dell'economia che in effetti si viene sempre più manifestando nella sensibilità collettiva - una sorta di ruolo positivo e progressivo, la spinta verso una presa di coscienza critica, verso l'intuizione della necessità di una riforma radicale delle modalità, di una rivoluzione nel rapporto tra ricerca/produzione artistica e vita della società. Sarebbe illuminante, sarebbe rincuorante, sarebbe una rimessa in moto di un motore estetico/poetico a lungo praticamente grippato in tutti i suoi ingranaggi. Sarebbe, anche, uno scossone salutare per le coscienze intorpidite o scoraggiate di tutti quegli artisti nell'Italia odierna, pittori e scultori, che non si sono allineati, che non si sono arresi al deserto di cinismo che ha preso piede un po' ovunque in questi anni di esplosive contraddizioni, di fervide speranze e di naufragi spinosi, ma che per loro conformazione poetica e culturale, per quanto siano di sicuro talento, si trovano oggi assopiti o rassegnati, destinati a vivere una dimensione professionale in qualche modo marginale rispetto ai riflettori del sistema. Ora, infatti, ogni artista che dentro di sé abbia conservato il valore di una autonomia propria non può non avvertire l'inaudita sordità entro cui agiscono oggi la sua immaginazione e la sua elaborazione plastica e poetica: la solitudine definitiva, rinnovata ad ogni occasione pubblica, che riveste le sue parole e i suoi segni. Una solitudine che certo può anche apparire talvolta necessaria alla natura delicata e complessa della sua elaborazione, allo svolgimento peculiare della sua inventiva, alla specialissima concentrazione creativa di cui ha bisogno. Ma l'artista, per quanto assorbito dalla propria visione interiore, tuttavia sempre è obbligato ad esternarla in un gesto, in un manufatto, in una concrezione qualsiasi: in qualcosa che ha pur bisogno dell'altro per inverarsi appieno; per essere nel mondo e, così, completarsi. E quando una tale inverazione appunto non si realizzi, quando cioè per circostanze sociali o per distorti o deformati usi di quel suo momento d'arte la comunicazione (nel senso percepibile o in qualche modo apprezzabile del mettere in comune) non avvenga, o avvenga solo in parte minima, allora l'artista sente mancare un brano di sé, vive alienato di un ingrediente indispensabile alla sua propria vita interiore. Si sente frustrato, mutilato… Ricordate Van Gogh e il suo orecchio? Viviamo quotidianamente una società che si viene ogni giorno di più incistando nella crisi, una società il cui unico valore che svetta è quello del valore economico Che cioè si nutre, nel suo bisogno di fantasticazione e d'immaginario, con le logiche di una industria culturale e soprattutto di una "ideologia" mercantile le cui ragioni prevalenti insistono sul profitto immediato, sul ricavo economico considerato prima e al di sopra di ogni altro apprezzamento o motivo. Una società in profondo stallo culturale, in cui l'intrattenimento ha preso il posto del sapere e del fare, dal cinema alla televisione, dall'editoria alla moda, dal giornalismo dei quotidiani e dei periodici d'intrattenimento fino, appunto, ai giudizi da dare con buon senso circa l'arte contemporanea. Una società in cui vediamo in qualche modo compiersi, purtroppo, il delineamento di un modello di uomo che Marcuse già preconizzava  cinquant'anni or sono come "a una sola dimensione".  Un uomo capace, sì, di servirsi di congegni elettronici sofisticati, però simultaneamente incapace, come un bambino di pochi anni, letteralmente di comprendere in modo autonomo lo spessore e la singolarità dei propri veri sentimenti, la suggestione segreta di una poesia o il senso emozionale o razionale di un'immagine complessa. Mai come oggi dunque c'è bisogno di artisti seriamente impegnati a fare gli artisti, e non a fare soldi. C'è bisogno di opere contemporanee le cui intenzionalità, le cui poetiche, le cui ambizioni profonde si allarghino verso idealità alte, verso un'arte che abbia senso e ruolo più completi e incisivi per la nostra vita. TOP TOP riContemporaneo.org (in ordine di arrivo) Questo numero è online dal 15 gennaio 2013 / Ultimo aggiornamento: 15 aprile  2013 Critico d’arte e giornalista, vive e opera a Milano. E’ nato a Sanremo nel 1944. Giorgio Seveso Vincent Van Gogh ( 1853 - 1890) , Autoritratto del 1889