Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Qui trovi i numeri pregressi Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Aspetto il tuo intervento... Torna alla pagina principale... Leggi... INTERVENTI Un intervento di Andrea Mignone Il pulsante AGGIORNA Clicca spesso il pulsante Aggiorna del tuo navigatore per essere certo di vedere i testi aggiunti dalla tua ultima visita SOMMARIO   RIFLESSIONI, POLEMICHE, PROPOSTE DI ARTE CONTEMPORANEA                                                                      POLITICHE CULTURALI: SFIDE E OPPORTUNITA’ I dati sono impressionanti: ogni anno in Italia vengono allestite oltre 11 mila mostre in quasi quattro mila sedi diverse, visitate da circa 40 milioni di italiani (il doppio di quanti siedono sulle tribune degli stadi di calcio) con un giro di affari di 2 miliardi di euro (Ricerca Fondazione Florens e Università Bocconi). La tendenza degli ultimi anni è stata la proliferazione (sovente di non grande qualità, caotica ed effimera) di iniziative, oggi in frenata anche a causa della "spending review". I due terzi sono classificate come mostre di arte contemporanea, ma - in verità - al loro interno si trovano moltissime estemporanee domenicali più che avanguardie o sperimentazioni. E poi... proliferano sotto elezioni. C'è, piuttosto, una spesa a pioggia e un investimento non finalizzato alla continuità da parte delle amministrazioni pubbliche in spazi insostenibili di cui si sa poco o nulla. Una proliferazione di spazi mediocri senza budget e senza vocazione indipendentemente dalle risorse finanziarie a disposizione. Possiamo trarre qualche spunto dall'analisi dei dati? Anzitutto, la vivacità dell'arte e l'interesse per le attività culturali: sembra crescere, nonostante i bizantinismi giuridici, il disinteresse della politica, le difficoltà economiche delle famiglie. Secondo Unioncamere, la cultura frutta alla nazione il 5,4% della ricchezza prodotta, pari a quasi 76 miliardi di euro (nel periodo 2007-2011 la crescita nominale del valore aggiunto delle imprese culturali è stata dello 0,9%, più del doppio rispetto all'economia italiana nel suo complesso: 0,4%). La spesa in cultura delle famiglie nel 2011 è cresciuta del 2,6%. Cultura come leva per ridare ossigeno al Paese, anche attraverso il suo indotto: industrie creative, patrimonio storico, arti visive, performing arts, marketing territoriale, distretti culturali. Cultura e territorio vengono spesso citati come risorse importanti di sviluppo economico e sociale: ma quante iniziative si sono consolidate, quante hanno cercato di fare sistema (i distretti) creando networks sostenibili? È peraltro innegabile che, di fronte a tanta potenzialità, di questi tempi si siano ridotte le sponsorizzazioni, forse per un sentimento di incertezza sul futuro e sul ruolo del pubblico. La crisi delle finanze pubbliche fa il resto, però unita ad un micidiale mix di noncuranza e indifferenza, di poca voglia e poche idee. Insomma, è in questi momenti che servirebbero politiche coraggiose. Che non appaiono all'orizzonte. Se le espressioni culturali sono beni comuni, patrimonio comune, perché la politica rinuncia? Ha scritto Settis che i lontani che abitano il futuro sono già qui, sono i nostri cittadini necessari, presenti da subito nell'orizzonte della società. E conosciamo le loro domande. Possiamo qui introdurre il secondo spunto di riflessione: il rapporto tra cultura e potere. La cultura è (con l'economia e la politica) una delle principali funzioni sociali nelle nostre società. Oggi queste funzioni sono tra loro spesso confuse: connivenze tra economia e politica e silenzio della cultura. Il mondo della cultura (valori, attori, beni) pare assediato o lusingato, forse insidiato, da economia e politica (accontentandosi talora di uno spazio, di un manifesto, di un rinfresco). La cultura non può limitarsi a seguire acriticamente chi opera nei campi dell'economia e della politica, salvo tradire il suo compito di "terzo unificatore" (G. Zagrebelsky). Il sistema cultura ha diritto al rispetto della sua autonomia e gli operatori hanno l'obbligo di difenderla. Il mondo dell'arte si scopre essere un mondo fragile, precario in cui nessuno dei giocatori percepisce con chiarezza i limiti del proprio ruolo, il rovescio della medaglia delle proprie richieste, tanto meno la partita che sta giocando, finendo per accampare diritti o arrogarsi compiti, dimenticando doveri in una confusione generale delle parti. John Holden definisce il rapporto tra i professionisti della cultura, la politica e il pubblico come "disfunzionale". I problemi che rileva sono sistemici, ma le soluzioni non possono che venire dai professionisti stessi. La loro opportunità sta nel fatto che il valore della cultura per il pubblico è illimitato ed espandibile. La sfida è trovare un allineamento diverso tra cultura, politica e il pubblico. Il valore istituzionale delle organizzazioni che producono cultura non sta nella mediazione tra la politica e la società, ma nella loro capacità di funzionare quali agenti attivi nella creazione di valore per la collettività. La rivendicazione della funzione pubblica dell'arte per la società, il territorio, le comunità, per trovare ascolto deve saper non solo comunicare con il committente, pubblico o privato, ma proporre politiche orientate ai destinatari con finalità di inclusione sociale. Con la globalizzazione sono cambiati molti paradigmi fondamentali della politica. L'adozione da parte dell'Unesco della Dichiarazione universale sulla diversità culturale ha reso ufficiale una definizione più inclusiva della cultura, mettendo al centro la persona, e mirata a tre settori principali: il settore pubblico (gli Stati e le loro istituzioni) la società civile (l'associazionismo), i privati (le imprese ) con l'obiettivo di incoraggiare il riconoscimento di diritti culturali a tutti i livelli. Tra politici e operatori della cultura esiste quasi sempre una tensione ma in Italia essa arriva all'esclusione e alla delegittimazione da parte della politica che si sostituisce all'esperto per motivi di consenso, a favore della propria immagine come comunicazione personale. C'è dunque una indicazione importante: invece di subire le richieste strumentali di cultura dalla politica, i professionisti della cultura insieme all'associazionismo, dovrebbero allearsi con il loro pubblico per cercare una legittimazione diretta da parte dei loro consumatori, stabilendo priorità e facendo proposte. Il tema della "advocacy" diventa oggi fondamentale. Essa va intesa come azione per modificare la percezione del mondo dei decision makers della politica, modificare gli esiti delle politiche pubbliche riguardo l'opportunità di investire e sostenere la cultura, mobilitare conoscenza e consenso esterno al mondo degli "addetti ai lavori": saper vedere "finestre di opportunità". TOP riContemporaneo.org (in ordine di arrivo) Questo numero è online dal 15 gennaio 2013 / Ultimo aggiornamento: 15 aprile  2013 Tratto da "Verso L'Arte"    n.4/2012 per gentile concessione dell’editore. Versolarte Edizioni  Direttore: Giovanna Barbero