Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Qui trovi i numeri pregressi Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Leggi... Aspetto il tuo intervento... Torna alla pagina principale... Leggi... INTERVENTI Un intervento di Pier Luigi Capucci Il pulsante AGGIORNA Clicca spesso il pulsante Aggiorna del tuo navigatore per essere certo di vedere i testi aggiunti dalla tua ultima visita SOMMARIO   RIFLESSIONI, POLEMICHE, PROPOSTE DI ARTE CONTEMPORANEA                                                                      Pier Luigi Capucci Articolo tratto da D'ARS n.212 per gentile concessione dell’editore  Direttore Cristina Trivellin riContemporaneo.org (in ordine di arrivo) Questo numero è online dal 15 gennaio 2013 / Ultimo aggiornamento: 15 aprile  2013 Si occupa, dai primi anni ottanta, di linguaggi di comunicazione e delle relazioni tra tecnologie, cultura,  società e forme artistiche. Insegna in vari atenei e istituzioni. Ha fondato e dirige il magazine online NOEMA, SVILUPPO E ARTE L’idea prevalente di sviluppo e il pensiero artistico [...] C’è un’idea di “sviluppo” inteso soprattutto come crescita economica. Cioè, in fondo, l'idea che la parabola della cultura e dell'economia umana sia destinata a crescere continuamente, pur nell'ottimizzazione dei processi di sfruttamento e delle risorse disponibili. Ciò che sembra sfuggire a questa impostazione è sia la dimensione globale, nel senso che le risorse planetarie non sono infinite e dunque uno "sviluppo sostenibile" potrebbe non essere un mantra eterno né assoluto, sia la dimensione, per così dire, regionale, nel senso che, come oggi è particolarmente evidente, non tutte le economie mondiali possono seguire la stessa traiettoria. Non è affatto scontato, come invece si cerca di far credere, che dopo l'attuale crisi economica di parte dell'Occidente vi sarà una ripresa e un nuovo sviluppo, che tutto insomma tornerà come prima a crescere. Potrebbe anche darsi di trovarsi di fronte a un mutamento di paradigma, secondo il quale la nostra cultura segnerebbe il passo a favore di altre culture ed economie. Discettare di "sviluppo sostenibile", di "crescita sostenibile" o di "economia sostenibile" in tempi di crisi economica, di recessione e di sopravvivenza, potrebbe apparire come un mero esercizio di stile. È la dimensione quantitativa che entra in crisi, l'idea di abbondanza, di accumulazione (delle risorse, delle ricchezze, delle finanze, dei beni materiali...), l'illusione della crescita continua ma anche l'ingenua credenza che tutti ne possano trarre beneficio. Per molte economie occidentali la quantità non è più sufficiente neppure a livello produttivo, dato che non è più possibile reggere l'impatto di economie della quantità basate sui due terzi della popolazione mondiale. Nel nostro piccolo mondo l'economia della quantità sembra stia lasciando il posto a un'economia della qualità, più complessa, articolata, globale ma fondata sulla località, specializzata, non basata sull'accumulazione della ricchezza materiale, sull'impersonalità del denaro e sulla rapacità della finanza ma soprattutto sulle persone e sulle loro reali capacità, sulle scelte responsabili e a lungo termine, sulla reciprocità, sulla disponibilità a condividere la conoscenza. In questa dimensione diviene fondamentale immaginarsi e sapersi declinare al futuro, favorire una progettualità più consapevole, globale e insieme locale, generale e contingente, colta e collaborativa, attenta all'alterità, alla diversità, alle differenze. Riscoprire, saper riconoscere e valorizzare la differenza, da sempre costituisce un valore: il motore del mondo non è l'"uguale" ma il "diverso", la differenza: nell'informazione, nella cultura, nella biologia, nella genetica, nella creatività, nella sessualità... E nell'arte, come scarto dalla norma. Sostenibilità significa anche copiare la natura e le sue dinamiche. Il vivente è stato ed è il modello della rappresentazione e dell'arte, ma è anche il modello di un numero crescente di artefatti, macchine e dispositivi sempre più complessi che devono adattarsi ai contesti, superare le difficoltà dell'ambiente in cui operano, interagire con le novità e gli imprevisti, sopravvivere a danni, errori o difetti, difendersi dalle aggressioni... Il vivente è il miglior modello di questi artefatti perché ha un'"esperienza" del mondo - cioè possiede un sapere, una conoscenza - maturata in circa 4 miliardi di anni di evoluzione, perché da quando esiste ha dovuto misurarsi con il mondo fenomenico. La mostra di Anja Puntari e dei suoi collaboratori si pone in maniera ambiziosa in un presente storico difficile dal punto di vista economico, ecologico, culturale: "L'arte può salvarci (probabilmente)" è il titolo della mostra. Di fatto, il rifiuto degli schemi, il pensiero altro, il percorso divergente, la riflessione alternativa, la soluzione inusuale, l'atteggiamento sincretico, la leggerezza dirompente, la relatività della dimensione economica, la libertà e l'indipendenza, l'attenzione per il nuovo... e molto altro sono sempre stati nei geni del fare arte. L'arte può riuscire dove altre discipline falliscono: fenomeni come la turbolenta caoticità delle interazioni umane, le dinamiche dei mercati, i processi di comunicazione globale, il sincretismo delle culture, ma anche le teorie della fisica, le matematiche del caos, la complessità di molti fenomeni naturali, legati all'ecologia, appaiono vicini alle dinamiche e alle processualità artistiche. Oggi è difficile riuscire a comprendere e a descrivere la complessità del mondo senza attivare atteggiamenti e approcci artistici. L'arte appare come una sorta di filosofia della contemporaneità, una risorsa determinante per capire il presente e guardare al futuro. Qui si mette insieme arte, gioco, passione, visione, gratuità, leggerezza… e si dimostra anche le qualità della collaborazione, le problematiche e le potenzialità dell'autorialità nella fruizione, i vantaggi della condivisione, la forza della compartecipazione per il raggiungimento di obiettivi comuni. In una celebre affermazione sulla relazione tra arte e scienza Roy Ascott sosteneva che oggi "non bisogna chiedersi quello che la scienza può fare per l'arte, ma quello che l'arte può fare per la scienza" Analogamente qui si vuole rovesciare la tradizionale relazione dell'arte con l'economia: oggi non bisogna chiedersi quello che l'economia può fare per l'arte, ma quello che l'arte può fare per l'economia, per l'ecologia. E anche questo è un pensiero "altro", divergente, libero, dirompente. Un pensiero artistico. Tratto dal testo di presentazione della mostra “Art can save us (probably)” di Anja Puntari in collaborazione con Massimiliano Viel, presso Spazio Ultra, Udine, aprile 2012. Testo ripubblicato in D’ARS n.212 TOP