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All'uscita il silenzio imbarazzante era più tagliente del freddo potentino di gennaio. Noi siamo abituati a questi e/venti. Per temprarci abbiamo bisogno di sensazioni forti, direi scioccanti. Abbiamo lo stomaco capace di metabolizzare tutto. Per chi viene dal mare è difficile adattarsi. Troppa diversità. A rompere il silenzio è stato lo stesso AB: "Certo, i curatori non potevano inaugurare la mostra in un periodo diverso da quello del Natale, perché il Natale è associato a Betlemme, questo al censimento e a Erode. Erode alla strage degli innocenti". Lo schema biblico non mi convinceva e non mi convince. Ricorda l'ironico Grande esodo del popolo lucano in cammino verso la terra promessa mentre dall'alto un aereo lancia la pasta Padula di Matera, di quel genio hidalgo di madre italo-lucana che aveva tentato di sbaragliare i turchi del potere, i corsari del veliero e della falsa arte, di tagliare i reticolati di El Alamein… un leader trattenuto nella provincia delle angustie (L.Tufano, A Felice “Scardaccione”, in "I pittori e il volto della città". Edizioni Ermes, Potenza, 1998). Non mi convinceva, maggiormente, il sarcasmo e il sorriso beffardo che accompagnavano le parole. Non fosse altro per il rispetto che i due curatori meritano per l'immane lavoro di accumulo di documenti, fatti, aneddoti, fotografie e quant'altro. Certo le opere esposte avevano bisogno dei titoli, dell'anno, la tecnica, la dimensione. Tutte cose richieste dai curatori e puntualmente inviate, ma inutilmente. Questi aiutano la lettura, consentono di interpretare meglio il sogno come, utopia, poetica o inganno dell'artista. Il play-off dei tanti artisti dimenticati dal censimento quando, come e dove giocheranno la partita? AB diventa serio, mi interrompe. "Conosco gli artisti del territorio, il valore e la riconoscenza che ho verso di loro come studioso, ma chi entra per visitare la mostra che accompagna il censimento, le opere esposte non rendono giustizia o meglio un buon servigio a quegli artisti dei quali conosco il loro valore che va oltre il territorio nel quale sono nati e vissuti. Sono artisti italiani e non lucani soltanto. Ti faccio due esempi: Squitieri e Giocoli. I curatori lo sanno quanto me: avevano l'obbligo di cercare il meglio che potesse rappresentarli, e questo non vale solo per i due artisti citati ma anche per tutti gli altri". Gli do ragione ma non lo dico. Per un attimo ricordo il mio maestro e quello che diceva: “Di un artista bisogna guardare l'opera migliore che ha fatto e non la peggiore, altrimenti non ci sarebbe la storia dell'arte” (Ernesto Treccani, "Spazi e colori di Lucania", Grenzi Editore, Foggia, 2010). Sposto ancora una volta il dialogo sull'accumulo dei documenti, unico pregio del progetto Artinomìe e che gli stessi sono visibili sul web. (Per la verità li ho cercati e mai trovati anche con l'aiuto del responsabile Comunale per le comunicazioni. Ma questa è un'altra storia). Parlo di valore aggiunto, della preziosità e quantità di notizie messa a disposizione di chiunque voglia farsi un'idea, per studio o semplicemente per curiosità, del rapporto tra la città e i suoi artisti e viceversa. Tra città di provincia e metropolitane. Tra identità di appartenenza e ampiezza del mondo. Tra marginalità dentro e fuori. Tra l'attraversamento della vita e il sogno arricchito dal pensiero dominante del creativo. Tutto questo è possibile grazie a chi si è caricato l'onere e l'onore di coordinare pazientemente il lavoro. AB ascolta. Ringrazia. Scuote la testa. "Sono un addetto ai lavori. Come me ce ne sono tanti. Entriamo, guardiamo le opere che costituiscono il corpus di questa mostra permanente alla Pinacoteca Comunale senza leggere quello che scrivono il Sindaco e la curatrice - della stessa mostra danno valenza diversa e intenzioni dichiarate diametralmente opposte - ci facciamo un'idea. Diamo giudizi estetici. Facciamo valutazioni, le stesse che i curatori sanno o immaginano, perciò la motivazione: censimento è una comodità, una giustificazione del mancato coraggio di stabilire un criterio di scelta, che, come tu dici è il sogno attraversato da un pensiero dominante, il sogno di ognuno di voi per capire meglio la realtà. Dalle opere di voi artisti ho bisogno di essere stupito da qualcosa che colleghi il cuore alla ragione, altri miei colleghi dal progetto, altri ancora da un colpo allo stomaco, da una speculazione linguistica ecc.. nessuno tuttavia prescinde dalla manualità, dalla conoscenza del mezzo espressivo. Dunque la scelta è obbligata per non compromettere la attendibilità, il valore della raccolta documentale. Capisco le difficoltà, per le possibili proteste degli esclusi, gli amici degli amici, le compromissioni inevitabili, ma chi accetta simili incarichi ha l'obbligo di stabilire un discrimine, non può e non deve lavarsene le mani. La politica, nella fattispecie il Sindaco della città, rivendica a giusta ragione la qualità affinché il dialogo culturale che Potenza con la sua Galleria Civica ha svolto con il resto del Paese e con l'Europa… continui e si rafforzi affinché, l'esposizione permanente diventi a pieno titolo protagonista di quel dialogo internazionale da noi avviato e mai interrotto. Pretende il meglio. Auspica una scelta e non un censimento". Non ho argomenti sufficientemente convincenti e taccio. Il vento antico potentino gela anche i nostri pensieri. Il breve tratto di strada senza parlare mi sembra eterno. Poi mi ricordo di un verso del sonetto CLXXVIII del Petrarca: “O Cameretta, che già fosti un porto”. Della “Camera da letto ad Arles” di Van Gogh, della lampada in “I mangiatori di patate”, dell'opera esposta nella rassegna che assimila tutto questo e rimanda uno spaesamento che riscalda il cuore. Finalmente. L’articolo precedente, apparso anche su la Gazzetta del Mezzogiorno del 13 gennaio 2013, era un invito a riflettere sulla responsabilità dei curatori di mostre e rassegne. Ponevo l'accento sull'obbligo di una scelta prima e non dopo l'allestito della mostra permanente alla Pinacoteca Comunale. Domandavo se i censimenti avessero bisogno di esperti d'arte. Ragionavo sulla questione di responsabilità sul piano estetico delle proprie scelte. Non chiedevo se un artista e la moglie dello stesso potessero fare i curatori di un progetto tanto ambizioso, così come lo desiderava il Sindaco Santarsiero. Questo non mi Interessa. Così come non mi riguarda l'allusione cui fanno cenno Leccese e Makabu sui fondi elargiti per realizzare il progetto, apparso sempre sulla Gazzetta del 22 gennaio 2013. Certo, gli argomenti non sono vitali. Tuttavia, è necessario ragionarci su, per ricercare, insieme, un metodo di lavoro che abbia come obiettivo il comune perseguimento del giudizio vero, da applicare a tutto, da tutti: mestieri, professioni, arte, politica. Guai immaginare la cultura e la critica d'arte separati dalla vita. E guai a immaginarli separati dalla politica. Una coscienza morale che sia da esempio e allo stesso tempo assunzione di responsabilità esercitata attraverso una scelta estetica, tanto più necessaria quando coinvolge, sul piano culturale, un'intera comunità, il territorio, la città che si ama. La cultura postmoderna nega l'esistenza della verità, la ricerca del pensiero dominante nelle opere d'arte. Sfugge dal giudizio e dal cercare l'essenza del fare. Il giudizio o le prese di posizioni si riducono a un gioco di opinioni tutte uguali e pertanto tutte legittimamente valide e accettabili. Al contrario il giudizio vero cerca la verità, e chi lo esercita deve avere autorevolezza e coraggio. Senza il coraggio l'autorevolezza si annulla. Supponiamo di entrare in un qualsiasi museo dove ci siano opere di Van Gogh (ancora lui!). L'autore chiede a se stesso: qual è il significato profondo dell'esistere? Perché siamo al mondo? E dà una risposta. E dove si colloca? E' dalla parte dei diseredati, degli oppressi, delle vittime, oppure è dalla parte di chi ha tolto loro la dignità, la sacralità e l'etica del lavoro? Gli spazi scanditi nei ritratti, le figure, persino negli interni - Caffè di notte - uomini e oggetti vivono in una totale solitudine, sono scanditi senza correlazione tra di loro, indicano il limite estremo di sofferenza senza possibilità di fuga. L'artista vive la vita con passione e delirio, fino ad una intensissima e violenta esasperazione. Fino alla morte. Il pensiero dominante è sempre lo stesso. Supponiamo ancora di essere a teatro dove si eseguano musiche di Schubert e di Mozart. Entrambi parlano di morte. La morte tragica per il primo, la morte ineluttabile e ineludibile, accettata con leggerezza, per l'altro. Sono questi pensieri, i sogni dei creativi, le loro poetiche, che andrebbero cercati per il perseguimento del giudizio vero, che andrebbero sollecitati e posseduti come gioielli di famiglia. Che andrebbero sottoposti ai visitatori di musei e teatri, giovani e meno giovani, come processi educativi. Vissuti e acquisiti come conoscenza non solo per godere a pieno la loro bellezza ma anche per cercare l'armonia della vita. Per giungere a distinguere ciò che è bello da ciò che è inutile e brutto. Consideriamo ulteriormente che nello stesso museo dove sono collocate le opere di Van Gogh ci siano anche le sculture di Cattelan, per esempio gli impiccati in piazza XXIV Maggio o il dito indice come dileggio in piazza della Borsa a Milano.  La differenza non va misurata con la notorietà di oggi dell'uno e dell'altro, né in funzione della celebrità consacrata dai media, questa è un'altra cosa. Voglio dire che nelle opere di Cattelan non c'è niente da capire, non c'è nessun pensiero da scoprire, non occorre scervellarsi perché non dice più di tanto. E' la trasgressione come blasfemia, irriverenza esplicitata dalla "trovata" (ricordate? i tifosi napoletani dopo la conquista del titolo di campioni d'Italia portarono nel cimitero di Poggioreale un cartellone su cui era scritto: ch' vi site prdut!) che vive e muore nella sua temporalità. E' inutile cercare la spiritualità, l'atemporalità. L'opera vive un tempo breve come la celebrità; è guardata con indifferenza, con distrazione. Manca di valore estetico. Questo e altro ancora sono oggetti della polemica, oggi, intorno alla quale si dibatte l'idea tra sacro e contemporaneo, tra il ricontemporaneo (inteso come la necessità di riprendere e allargare il concetto di “”contemporaneità” artistica sostenuta anche da queste pagine on line) e l'adesione ad un'arte che è allo stesso tempo meta- arte e anti arte. (vedi Mario Perniola, Perché l'arte deve rimanere senza Dio. Repubblica 1/2/ 2013). Molti amici hanno manifestato solidarietà in privato, attribuendo la malagestione di Artinomie alla cattiva politica. Non è così! L'idea del Sindaco era alta e lungimirante. Con invito mirato agli artisti potentini inseriti nell’ultima Biennale di Venezia, quella curata da Sgarbi, auspicava dei suggerimenti per fare una storia di Potenza e dei suoi artisti attraverso l'acquisizione di materiale documentale e il lavoro di storici dell'arte operanti nel circuito nazionale e internazionale, sopra le parti, dotati di autonomia di giudizio e di senso di responsabilità. Poi sono successe tante cose inspiegabili: l'assenza di coraggio e autorevolezza, i coniugi curatori. Niente di nuovo: il vento gelido soffia ancora nell'inverno potentino. . TOP riContemporaneo.org 2 TOP TOP 1 (in ordine di arrivo) Questo numero è online dal 15 gennaio 2013 / Ultimo aggiornamento: 15 aprile  2013 Un intervento di Nino Tricarico Pittore, é nato a Potenza nel 1938, dove vive e opera. Nino Tricarico La mostra Galleria Civica di Potenza Palazzo Loffredo fino al 10/3/2013 Coordinamento tecnico scientifico: Anna R.G. Rivelli Giovanni Cafarelli “Un lavoro con cui non si è voluto selezionare, bensì censire le numerose e varie personalità artistiche appartenenti alla città di Potenza ed alla sua area metropolitana...”