polemiche e proposte sull’arte contemporanea
Gennaio 2023
CONTRO TUTTE LE GUERRE
Picasso e Guernica
di Gioxe De Micheli
QUANTE DITA HANNO LE MANI DI GUERNICA?
Io
non
mi
ricordo
che
giorno
fosse,
ma
le
vacanze
non
erano
ancora
finite
e
a
ottobre
sarei
andato
in
seconda
elementare.
Certamente
fu
prima
del
sabato
26
settembre
e
mi
sentirei
di
escludere
le
domeniche
del
6,
del
13
e
del
20
per
l’assenza
dei
commessi
del
Comune.
Non
mi
ricordo
che
giorno
fosse,
ma
mi
ricordo
che
giorno
è
stato.
Mi
trovavo
nella
grande
sala
delle
Cariatidi,
mi
ci
aveva
portato
mio
padre
Mario.
In
alto
spuntavano
i
monconi
carbonizzati
delle
grandi
travi,
le
pareti
e
gli
stucchi
ancora
neri
del
fumo
dell’incendio.
Le
tele
e
i
pannelli
a
terra
appoggiati
contro
i
muri,
le
casse
servite
ai
trasporti
erano
già
state
tolte,
si
preparavano
delle
strutture
inchiodando
grossi
listelli,
c’era
un
odore
come
di
segatura
e
tutto
intorno
risuonavano
colpi
di
martello.
Mio
padre,
il
Mario,
aveva
39
anni
e
dirigeva
l’allestimento
della
mostra.
Si
muoveva
a
larghi
passi
con
ancora
addosso
la
magrezza
della
galera
titina
e
portava
degli
scalcagnati
sandali
di
cuoio
anteguerra
con
dei
calzini
corti.
Io
guardavo
ad
altezza
bambino
seduto
su
un
secchio
rovesciato
e
lo
vedevo
sollevare,
spostare,
capovolgere,
trascinare.
Ogni
tanto
scompariva
e
poi
riappariva,
si
fermava,
guardava,
poi
ripartiva
sicuro,
veloce,
mi
sembrava
un
lupo.
E
d’altra
parte
mi
aveva
portato
lì
come
il
cacciatore
porta
il
figlio
a
riconoscere
le
impronte,
a
seguire
le
tracce,
a
fiutare
l’aria.
È
strano,
ma
i
miei
ricordi
sono
in
bianco
e
nero,
come
Milano
era
in
bianco
e
nero,
la
nostra
casa
in
viale
Abruzzi
era
in
bianco
e
nero,
come
Guernica
,
e
le
grandi
immagini
di
La
Guerra e la Pace
e del
Massacro in Corea
.
«Che
cosa
credete
che
sia un
artista?
Un
imbecille che ha solo gli occhi se è pittore […]»
*
Ma
qui
dobbiamo
fare
un
passo
indietro.
Siamo
a
Roma
tra
l’aprile
e
il
maggio
del
1953,
e
si
sta
organizzando
una
grande
rassegna
che
mostrerà
a
un’Italia,
ancora
povera
e
arretrata,
uno
dei
più
dirompenti
fenomeni
culturali,
politici,
estetici
e
mercantili del ’900: Pablo Picasso.
Si
muovono
le
istituzioni,
il
mondo
accademico,
il
Governo,
il
Comune,
la
Galleria
d’Arte
Modena
con
la
sua
direttrice
Palma
Bucarelli,
la
Democrazia
cristiana,
obtorto
collo,
il
Partito
comunista
con
il
senatore
Eugenio
Reale,
Antonio
Del
Guercio,
Renato
Guttuso
e
la
coralità
dei
suoi
intellettuali,
a
dispetto
della
diffidenza,
se
non
dell’ostilità,
del
“Migliore”,
Palmiro
Togliatti.
E
poi
critici
e
storici
di
fama:
Lionello
Venturi,
Cesare
Brandi,
Giulio
Carlo
Argan.
Ma
in
mezzo
a
tutta
questa
ufficialità,
il
Partito
comunista
ha
un
suo
campione.
Si
tratta
di
Mario
De
Micheli,
il
giovane
critico
d’arte
dell’Unità
di
Milano. È
un
intellettuale
un
po’
anomalo,
il
Mario,
è
lontano
dal
mondo
accademico
e
dalle
dinamiche
dell’ufficialità,
ma
ha
un
formidabile
primato
che
gli
permette
di
stare
a
buon
diritto
nel
comitato
organizzatore
della
mostra:
ha
pubblicato
in
Italia,
sfidando
la
censura
fascista,
il
primo
libro
su
Picasso. E il Partito lo sa!
A
Pablo
Picasso
esce
per
le
edizioni
del
GUF
di
Bologna
nel
1941.
Vi
sono
riprodotte
le
foto
che
Dora
Maar
aveva
fatto
agli
studi
per
Guernica
,
la
traduzione
di
un
poemetto
di
Eluard
e
la
prefazione
del
Mario.
I
fascisti
non
si
accorgono
dei
contenuti
eversivi
del
testo
e
i
volumetti
vanno
a
ruba.
La
seconda
edizione,
però,
cade
sotto
l’occhio
più
attento di un censore in camicia nera che legge:
«[…]
Picasso
incoraggia
la
nostra
riscossa;
dopo
di
lui
non
possiamo
più
riposare
su
una
pace
cromatica
dei
colori.
Sappiamo
che
c’è
un’altra
cosa
da
fare».
È
un
invito
neppur
troppo
velato
alla
lotta
armata.
La seconda edizione viene sequestrata.
«[…]
le
orecchie
se
è
musicista,
e
una
lira
a
tutti
i
piani del cuore se è poeta […]»
Le
mire
di
Eugène
de
Rastignac:
«E
adesso
a
noi
due,
Roma!»
non
sono
certo
quelle
che
muovono
il
giovane
critico
arrivato
da
Milano.
No,
è
un
tipo
duro
e
limpido
il
Mario,
viene
dalla
lotta
clandestina,
ha
conosciuto
il
carcere
fascista
e
poi
quello
dell’U.D.B,
la
polizia
politica
di
Tito.
No,
il
Mario
è
a
Roma
perché
porta
nel
cuore
il
«Sogno
dell’Europa».
L’Europa
della
libertà,
della
pace
e
della
cultura.
Il
sogno
che
ha
condiviso
con
tanti
giovani
della
sua
generazione
e
che,
forse,
lì,
a
Roma,
si
sta
materializzando. E il Partito lo sa!
In
una
lettera
dell’8
maggio
1953
Giancarlo
Pajetta,
da
via
delle
Botteghe
Oscure,
scrive
a
Davide
Lajolo,
allora direttore dell’Unità di Milano:
«Caro
Ulisse,
come
hai
visto,
la
mostra
di
Picasso
si
è
inaugurata
con
buon
successo:
successo
dovuto
anche
alla
collaborazione
del
tuo
critico
d’arte,
Mario De Micheli […]
De
Micheli
ha
ben
lavorato
qui
a
Roma
per
la
mostra,
e
per
questo
ci
è
ancora
necessario
per
il
periodo
che
ti
ho
detto.
Sono
sicuro
quindi
che
la
collaborazione
che
ancora
vi
chiediamo
non
sarà
pregiudizievole
ai
suoi
rapporti
con
l’Unità
di
Milano
al
suo
ritorno
che
immancabilmente
avrà
luogo
a
fine giugno. […]».**
In
un
articolo
di
Nello
Forti
Grazzini
pubblicato
su
l'Unità
del
17
gennaio
1994
sotto
il
titolo
«Un
grande
futuro
dietro
le
spalle»,
De
Micheli
racconta
della
mostra
romana:
«[...]
Quella
mostra,
una
mattina,
fu
visitata
da
Togliatti,
il
quale,
per
via
della
sua
formazione,
non
capiva
Picasso.
Io
lo
guidai
lungo
il
percorso
espositivo,
infervorandomi,
cercando
di
fargli
capire
la
grandezza
del
pittore.
Lui
ascoltava
e
non
diceva
niente,
ma
alla
fine
mi
chiese
di
scrivergli
un
articolo
su
Picasso
per
Rinascita,
purché
però
gliene
scrivessi,
per
contrappeso,
anche
un
altro,
su
una
mostra
di
Antonello
da
Messina
allora
aperta
in
Sicilia.
Il
primo
articolo
uscì,
col
titolo
Il
più
grande
pittore
dei
nostri
tempi
,
e
io
mi
stupii.
Chi
ha
voluto
quel
titolo?
Ma
come,
mi
dissero,
l'ha
voluto
Togliatti...».
Dunque,
come
annunciato
da
Pajetta,
il
Mario
alla
fine
di
giugno
del
1953
tornò
a
Milano
dove
già
si
lavorava
alla
seconda
tappa
della
grande
rassegna.
Ma
nel
capoluogo
lombardo
si
preparava
anche
un
evento
destinato
a
rimanere
gemma
preziosa
nella
storia
della
cultura
italiana
del
dopoguerra:
la
possibilità di esporre
Guernica
.
Alla
realizzazione
di
questo
sogno
collaborò,
oltre
a
De
Micheli,
il
meglio
della
cultura
democratica
milanese:
Fernanda
Wittgens,
soprintendente
alle
Gallerie
della
Lombardia,
Gian
Alberto
Dell’Acqua,
Franco
Russoli,
Raffaele
De
Grada
–
Raffaellino,
per
noi
in
famiglia
–
il
pittore
Attilio
Rossi,
che
era
anche
amico personale di Picasso.
E
furono
proprio
il
prestigio,
l’affidabilità
e
l’alto
profilo
culturale
di
questo
gruppo
che
convinsero
il
grande Pablo ad accordare il prestito.
E
fu
ancora
con
coraggio
e
determinazione,
nell’autorevolezza
della
sua
alta
carica
istituzionale,
che
Fernanda
Wittgens
pretese,
nell’entusiasmo
di
pittori,
scultori,
poeti,
«quelli
del
Piccolo»
e
vecchi
amici
di
Corrente,
che
assieme
a
La
Guerra
e
la
Pace
e
a
Guernica
,
a
Palazzo
Reale
ci
fosse
anche
il
Massacro
in
Corea
che
invece
a
Roma
era
stato
censurato.
«[…]
oppure,
se
è
un
pugile,
solamente
dei
muscoli?
Al
contrario,
egli
è
allo
stesso
tempo
un
uomo
politico,
costantemente
sveglio
davanti
ai
laceranti,
ardenti
o
dolci
avvenimenti
del
mondo.»
Io
non
ricordo
quanto
tempo
rimasi
lì
quella
mattina,
ma
ci
fu
una
pausa
e
il
papà
mi
portò
a
mangiare
in
una
trattoria
di
via
Fiori
Chiari
con
Ibrahim
Kodra,
poi
l’allestimento
andò
avanti
per
tutto
il
pomeriggio.
Io
un
po’
mi
annoiavo
e
quindi
dopo
aver
circumnavigato
le
sale
con
tutti
quei
dipinti
a
terra,
tornai
al
mio
secchio
rovesciato
e
–
l’avevo
proprio
davanti
–
cominciai
a
circumnavigare
anche
Guernica.
Non
che
non
avessi
mai
visto
quell’immagine,
non
l’avevo
mai
vista
dal
vero.
E
non
che
non
sapessi
che
cosa
è
un
bombardamento,
la
mamma
me
ne
aveva
parlato
perché,
a
Parma,
i
miei
nonni
materni,
erano
morti
sotto
le
bombe
inglesi
e
quella
storia
mi
faceva
paura.
Il
dipinto
invece
mi
piaceva
un
sacco,
beh,
io
ero
un
bambino
un
po’
particolare
e
il
mio
rapporto
con
le
immagini
non
era
certo
quello
della
maggior
parte
dei
miei
coetanei.
A
casa,
una
parete
della
stanza
da
letto
dei
genitori
era
interamente
occupata
da
un
murale
cubista
di
Morlotti
–
un
uomo
e
una
donna
nudi
che
abbracciano
un
neonato
–
e
ogni
due
settimane
arrivava
Il
Pioniere
,
il
giornalino
per
i
bambini
diretto
da
Gianni
Rodari,
dove
trovavo
le
avventure
di
Chiodino,
un
piccolo
eroe
di
ferro
anche
lui
un
po’
cubista,
disegnate
da
Vinicio
Berti,
il
padre
dell’astrattismo
fiorentino.
Dunque,
un
profilo
con
due
occhi,
nasi
all’incontrario,
figure
puntute
e
scomposte
non
mi
facevano
nessuna
impressione.
Però
ero
un
bambino
preciso
e
attento
ai
particolari.
Mi
piaceva
l’oca
a
sinistra,
era
l’oca
della
canzoncina
che
a
casa
cantavamo
in
coro?
Gh’era
un
oc,
un
uchin
e
n’
ucheta,
che
andavan
a
bev
alla
curt
del
Re…
Mi
piaceva
la
figura
di
destra
che
sprofonda
tra
le
fauci
di
quello
che
mi
pareva
essere
un
drago
e
avevo
notato
che
i
suoi
denti
erano
uguali
alle
fiamme
dell’incendio
e
persino
alla
luce
della
lampada.
Chissà
se
anche
i
nonni
avevano
visto
quelle
stesse
fiamme,
quei
denti
che
azzannano,
feriscono
e
lacerano.
Ma
poi,
perché
c’era
il
lume
a
petrolio
se
c’era
la
corrente
elettrica?
Forse
con
le
bombe
era
andata
via
la
luce?
Le
bombe
io
le
conoscevo,
in
classe
c’erano
due
manifesti,
in
uno
si
vedeva
un
bambino
mutilato
e
la
scritta
NON
TOCCARE
C’È
LA
MORTE.
Nell’altro,
un’esposizione
di
ordigni
di
tutti
i
tipi
allineati
in
bell’ordine,
e
io
avevo
imparato
a
distinguere
le
granate
inglesi
che
sembravano
ananas
da
quelle
tedesche
con
l’impugnatura
di
legno,
le
bombe
a
mano
lisce
e
tonde,
quelle
quadrate
che
mi
sembravano
scatolette
di
tonno,
quelle larghe e piatte come torte.
Mi
piaceva
la
mano
che
stringe
il
coltello,
anche
se
avrei
preferito
che
la
lama
non
fosse
stata
rotta.
Mi
piaceva
il
cavallo.
Forse
era
il
cavallo
della
poesia
che
ci
aveva
letto
il
papà:
Oh
cavallo
cavallo
che
non
bevesti
l’acqua
[…]
Cavallo
dell’alba...*
*
e
mia
sorella
Anna
pensava
che
il
cavallo
fosse
dell’Alba
Dabbundo,
la
nostra
pediatra,
che,
a
Milano,
era
anche
famosa
perché
curava
gratuitamente
tutti
i
pittori
squattrinati.
No,
che
la
testa
del
cavallo
fosse
una
citazione
da
Il
trionfo
della
morte
di
Palermo
l’ho
scoperto
da
grande,
così
come
il
significato
simbolico del pugno stretto sul pugnale spezzato.
Di
mani
in
Guernica
ce
ne
sono
11
e,
allora,
mi
colpì
molto
il
fatto
che,
malgrado
tutte
quelle
deformazioni,
il
numero
delle
dita
delle
mani
e
anche
dei
piedi
fosse
giusto,
cinque
per
arto
–
unica
eccezione
i
piedini
del
neonato
in
braccio
alla
disperazione della madre.
Le
contai
diligentemente:
65
dita
tra
mani
e
piedi…
senza
contare
i
piedini
del
neonato.
Lo
dissi
al
Mario
che
per
un
attimo
parve
incuriosito
dalla
mia
scoperta,
e
io
ne
fui
contento
perché
ero
sicuro
che
lui
non
ci
aveva
pensato.
Uscimmo
che
era
già
sera,
le
giornate
si
erano
accorciate,
tagliammo
per
i
Giardini
pubblici,
imboccammo
il
corso
Buenos
Aires
e tornammo a casa.
*
Scritto
di
Picasso,
tratto
da
«David,
Delacroix,
Courbet,
Cézanne,
Van
Gogh:
Le
poetiche.
Antologia
degli scritti», Mario De Micheli, Feltrinelli 1978.
** Cfr. «Le parole e le cose», Quaderni di Arte a Trezzo.
Pubblico questo intervento dell’amico De Micheli
per una mostra dedicata alla Guernica di
Picasso, e dunque contro la guerra e i suoi
orrori, perchè mi è molto piaciuto per come è
scritto e per la vicenda che racconta… (G.S.)
La copertina del catalogo della
mostra dedicata a Guernica dal
MAN_Museo d’arte Provincia di
Nuoro.
__________________________________
Voluta e curata da Chiara Gatti,
che del Museo è Direttore artistico,
e da Michele Tavola, l’iniziativa
segnala una doppia ricorrenza.
«Settant'anni fa - era il 1953 - la
storica esposizione di Milano
vide la monumentale tela di
Guernica tornare dall'America per
essere esposta nella sala
bombardata delle Cariatidi di
Palazzo Reale; un luogo ferito dalla
guerra che, per la sua natura
sventrata e offesa, convinse il
maestro a richiamarla in Europa e
a farne un manifesto d'accusa
contro ogni conflitto e violenza
subita.
Fu l'unica volta che l'Italia poté
celebrarne la presenza, prima
che il capolavoro s'imbarcasse per
un tour in giro per il mondo
e riapprodasse poi definitivamente
a Madrid, dove ancora oggi è
custodita nelle sale algide del
Museo Nacional Centro de Arte
Reina Sofia.
La seconda ricorrenza aderisce,
invece, alla storia stessa
del MAN che nel 2003, agli albori
della sua vita, ospitò il ciclo
completo della Suite Vollard,
celeberrima serie di incisioni che
Picasso realizzò negli anni trenta e
stampata poi dal suo mercante
Ambroise Vollard e che, fra soggetti
classici, modelle, muse, grazie,
baccanti e saltimbanchi,
contempla - non a caso - figure
di minotauri e cavalli, legati in
sottotraccia ai coevi e struggenti
motivi di Guernica.
Due ragioni importanti animano
un progetto inedito che, questa
volta, intreccia la genesi del dipinto
alla presenza di Dora Maar,
l'amante più famosa del temibile
Pablo, la «mujer que llora», la
«donna che piange», sedotta e
tradita, e che dietro l' obiettivo
registrò, per settimane ininterrotte
di lavoro e passione, la creazione
del gigante bianco e nero; tassello
su tassello, urla su urla…»
(Dal testo di Chiara Gatti in
catalogo)