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UOMO X ARTE X NATURA

di Lucrezia Rubini Uomo x Arte= actio creativa ab origine Sin dalla sua comparsa sulla terra l’Uomo ha sentito l’esigenza di trasformare gli elementi naturali che aveva a disposizione, costruendo utensili ed esprimendo in questo modo la sua creatività, la capacità di escogitare soluzioni che potessero garantirgli la sopravvivenza e migliorare le sue condizioni. In tal senso tutte le espressioni, che definiamo artistiche, avevano sempre una funzione sacra o propiziatoria, legata soprattutto alla fertilità. È il caso delle dee Madri, cosiddette “Veneri”, che hanno abitato le grotte dell’uomo preistorico, propiziatorie della fertilità della donna e, se seppellite, anche della Terra (Tellus Mater): pertanto avevano una funzione rituale e simbolica. Anche le scene di caccia avevano un valore rituale e utile per esorcizzare le paure nell’affrontare animali feroci e pericolosi, con mezzi di difesa deboli; nel raffigurare la scena di caccia, il cacciatore riviveva tale esperienza traumatica, “raccontandola” nell’immagine e vincendo simbolicamente sul nemico, talvolta scagliando realmente delle frecce sulla parete rupestre. Pertanto possiamo dire che, sin dall’antichità - e questa peculiarità è rimasta costante - l’oggetto creato dall’uomo costituisce una compensazione delle sue deficienze anche fisiche e quindi un prolungamento e “messa in atto” delle sue potenzialità psico-fisiche. È inoltre innato nell’uomo l’istinto di creare oggetti, ovvero la tendenza a manipolare e trasformare le sostanze di cui si circonda, allo scopo di creare qualcosa che non esisteva già; in ciò l’oggetto diventa prolungamento del soggetto, proiezione in esso e, in parte, identificazione. Questo fatto è ben spiegato in tanti episodi della Mitologia per esempio quello di Pigmalione - e nella Creazione, in particolare dell’uomo, nel Libro della Genesi; in tal caso la creatività è intesa precisamente come manipolazione, coroplastica, azione che plasma una materia che poi “prende vita”. La carica attiva e vitale dell’opera d’arte è una dimensione estetica sempre sentita umanamente - basti pensare al potere taumaturgico delle immagini sacre. E questa identificazione Arte-Vita diventa diretta specialmente nelle opere di Land Art, realizzate con e all’interno di forme di vita, quale è appunto la Natura. Arte x Uomo= valore salvifico dell’indicibile L’arte ha, oggi più che mai, un valore eminentemente salvifico per l’uomo odierno. Questo consiste specificamente nella dimensione indicibile, invisibile, non conoscibile, impensabile, che caratterizza l’opera d’arte. Solo riuscendo a sentire - e proprio ad un “sentire comune”, universale e individuale allo stesso tempo fa appello l’opera d’arte - dimensioni immateriali e non-umane, si potrà avere coscienza della grandezza della natura e della finitezza dell’uomo. L’opera d’arte, offrendo codici di ricodificazione della realtà, potrà salvare l’uomo dimostrando la velleità del consumismo - ormai esautorato e non più in grado di soddisfare neanche i bisogni fittizi materiali (1) -, lancia verso l’immateriale e offre, ancora una volta, salvifico nutrimento per la mente. Proprio il quid invisibile che sottende e a cui rimanda l’opera d’arte potrà, ancora, salvare l’uomo “liquido” odierno (2) dall’età della finzione (3) in cui siamo immersi, che rischia di innescare pericolosissimi meccanismi di identificazione tra reale e virtuale, vero e falso, fantastico e illusorio, speranza e inganno. Ancora, il senso di illimitato e cosmico che emerge dall’opera d’arte può fornire quel salvifico, anch’esso, senso del limite perduto dall’uomo, illuso dalla tecnologia di essere “senza limiti”, di tutto sapere e tutto potere nell’immediato. Arte x Natura=rilettura inedita (4) L’arte può farsi strumento di rimemorazione e “risalita alle radici”, mitiche, che l’uomo odierno ha pericolosamente dimenticato. La schisi Uomo/Natura può essere rimarginata da un’arte che potrà farsi medium tra i due enti, grazie all’elemento che li accomuna: l’universalità. La Natura ha un carattere eminentemente universale: l’Uomo, capace di sentire e di avere autocoscienza di sentire, può riscattare il suo isolamento, mediante il riconoscere quel sentire come comune, ovvero socialmente e umanamente condiviso in modo universale. L’universalità della Natura, intesa come cosmo, e l’universalità dell’Uomo, intesa come condivisione sociale, democratica e solidale, possono entrare in osmosi mediante la specificità, anch’essa universale, dell’opera d’arte. Tale dimensione consiste nell’innescare, da parte dell’opera d’arte, verso il soggetto che ad essa “si affida”, dimensioni estetiche, ovvero di autocoscienza del sentire, simili a quelle che si possono avvertire di fronte alla grandezza e alla bellezza della Natura. Questo in quanto l’opera d’arte non è mai autoreferenziale, ma sempre allusiva, simbolica, facente appello a dimensioni dianoetiche della mente e a dimensioni eccedenti la realtà tangibile. Un’arte “al servizio della natura” potrà aiutarci a riavvicinarci a quella Natura, carica di una cosmicità antica e mitica, che avevamo dimenticato, perché presi dalla corsa anestetizzante verso l’accumulo del materiale. L’abuso del materiale ci ha reso ciechi, incapaci, ormai, di distinguere il virtuale dal reale, il presente dal passato e dal futuro, i desideri dai bisogni, in un apparire labile e senza radici. La “messa in scena”, da parte dell’intervento artistico, di porzioni, elementi della natura, possono sensibilizzare verso una cultura del rispetto e del semplice riconoscimento di essa, presupposto filosofico necessario per qualsiasi politica di recupero e tutela dell’ambiente, mediante un contatto nuovo con essa. Natura x Uomo= Vita La Natura esiste a prescindere dall’esistenza dell’Uomo, ma tale affermazione non è valida nel suo contrario: l’Uomo, infatti, non esiste senza la Natura, che gli dà la vita. La presunzione di fondo è che l’uomo ha sempre “trattato” la natura come se esistesse solo in funzione di sé, senza tener conto degli altri esseri viventi, animali e piante. La logica della natura considerata non come dimora, ma come campo di dominio, ha portato a trasformazioni profonde, irreversibili e rovinose, perpetrate dall’uomo sulla natura. La logica del dominio è strettamente legata a quella dell’individualismo e pertanto solo una prospettiva universalistica, di condivisione e salvaguardia della Terra, riconosciuta come bene comune e da condividere, potrà preservarla da danni ulteriori. Ancora una volta, la salvezza può derivare dal recupero della rammemorazione degli antichi miti, quando la Mater Natura era riconosciuta come infinitamente superiore all’uomo, che la temeva e la rispettava, ne faceva oggetto di culto, con riti ed espressioni artistiche. Tali espressioni artistiche possono ora “riattivarsi” per innescare nell’uomo processi di riflessione, di riconversione, di decrescita e di riarmonizzazione con e con l’ambiente che lo circonda; con ciò assumendo atteggiamenti diversi, anche di sano timore, per un’umanità nuova, all’insegna di una filosofia di vita diversa, neoumanistica, di contro all’uomo “senza limiti” odierno, che tutto pensa di potere, moderno cavaliere difensore del nulla, armato di una tecnologia di cui ha perso la capacità di gestione, ormai. Ancora una volta la filosofia viene prima della politica, affinché questa sia supportata da scelte ponderate, all’insegna di una nuova progettualità umanistica, di cui può farsi veicolo l’arte. Uomo x Natura= recupero di un equilibrio antico L’uomo, sin dall’antichità, plasmando gli elementi naturali, ha prodotto, con la sua creatività, oggetti che fossero in sintonia con l’armonia della Natura, e con quell’altra armonia che, come quid universale che accomuna tutti gli uomini, egli sentiva di sentire in sé stesso, esteticamente, appunto. Ora l’arte potrà farsi strumento attivo di recupero di tale antica armonia, unica via, sfidante, per l’Uomo odierno, per ritrovare, riconoscere e andare incontro a stesso, alla Natura circostante e agli uomini tutti. Tale recupero passa attraverso il recupero del Mito e del primordiale, di cui si fa carico e testimone l’arte, in quanto, esteticamente e pateticamente, offre una molteplicità infinita di sensi che rimandano allo stratificarsi di pathos e di memoria antica, che ne costituiscono il substrato da sentire e vivere intuitivamente. La cultura del rispetto della Natura, del riconoscimento della sua superiorità rispetto all’Uomo, del suo “esistere” prima dell’uomo- portatore della cosiddetta civiltà-, risale ai Greci (5). È presso i Greci che la Natura era pensata come un limite umanamente non oltrepassabile, a cui l’azione umana doveva sottostare, sia sul piano tecnico, sia politico. Alla Natura era riconosciuto un ordine immutabile, che l’uomo non può modificare, dominare, ma solo svelare. In tal senso l’uomo non è misura, ma è misurato dal cosmo. A tale proposito dice Platone: «Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo intimo rapporto con il cosmo e un orientamento ad esso, anche se non sembra che tu ti accorga che ogni vista sorge per il Tutto e per la felice condizione dell’universa armonia. Non per te infatti questa vita si svolge, ma tu piuttosto vieni generato per la vita cosmica» (6). La cultura ebraico-cristiana sostituisce alla visione cosmologica e mitologica greca, la visione antropocentrica, e “antropocratica”, per cui la natura è da trasformare, commisurare all’uomo, alla sua intelligenza, alle sue esigenze, alla sua progettualità. Al dominio degli dei, subentra il regno degli uomini, dell’”homo faber fortuna sua”, ovvero di un uomo nuovo, padrone del suo destino e del futuro, che si illude di poter commisurare la Natura a sé, piegandola alla piccola logica della materialità, all’insegna del progresso tecnologico. Purtroppo i due termini, uomo/ tecnica, si sono invertiti e mentre nell’era preindustriale la tecnica, gestita dall’uomo, organizzava la natura, ora è l’uomo che ha perso il controllo di quella stessa tecnica che lui aveva escogitato, divenendone succube impotente: ora è l’uomo, ad essere dominato da una natura sconvolta, perché non è stato capace di riconoscere i propri limiti. È chiaro che il recupero di un equilibrio antico, non può essere pensato come un velleitario ritorno al “buon tempo antico” ma, come sintetizza Umberto Galimberti: «...anche di fronte alla catastrofe tecnica, il rimedio non può essere che tecnico, cioè nella direzione di un ulteriore incremento della tecnica, in vista della creazione di macchine di controllo più intelligenti delle macchine da controllare» (7). La tecnologia stessa, quindi, dovrà essere lo strumento da usare da parte dell’Uomo per attuare un processo inverso, nel rapporto Uomo/Natura; ma tale “tecnologia di recupero” indurrà agli stessi errori, ed anche peggiori e davvero disastrosi, se non sarà supportata da una filosofia di vita diversa. Solo una filosofia della sottrazione, del meno, dell’assenza, del nulla, del silenzio, della donazione, del non luogo, dell’immateriale, della stasi, potrà liberare l’uomo dalla presuntuosa onniscienza, con cui ha pericolosamente squarciato il mitico velo di Maia, rivelando un inconoscibile orribile. Il bisogno, proprio dell’Uomo, di andare oltre, di condividere i sentimenti, kantianamente, come “senso comune” è diventato un oltrepassare ed eccedere sensoriale, una corsa spasmodica verso un’accumulazione ormai soffocante e ingestibile. I nostri desideri superflui sono alimentati da una politica economica, che ci ha reso “dipendenti” da un bisogno inalienabile, e alienante, dell’eccesso a oltranza (8). Lo iato che si è creato con la Natura potrà essere recuperato proprio con la presa di coscienza e la riflessione che potrà derivare all’Uomo, tramite l’arte. L’arte, infatti, può disinnescare e fornire risposte adeguate al bisogno innato di immateriale dell’Uomo, mediante dimensioni eccedenti. Il carattere di “eccedenza” dell’arte potrà spezzare la perversa spirale dell’eccesso della società odierna, in quanto potrà fornire risposte non transeunti, ma profonde. _________________________________________ (1) Cfr. Richard Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, [1998], trad. di Mirko Tavosanis Shake, Milano, Feltrinelli, (1999), 2007. (2) Cfr. Zygmunt Bauman, Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Roma-Bari, Laterza, 2007. (3) Cfr. Massimo Melotti, L’età della finzione, Roma, Luca Sossella, 2008. (4) Il rapporto arte/ natura potrebbe essere riferito alla vastissima tematica dell’architettura dei giardini, che qui non può essere sviluppata, non solo per motivi di spazio, ma in quanto tale rapporto viene qui interpretato in senso non decorativo, ma estetico; ovvero cercherò di sviluppare, in questa sede, la tesi dell’utilità dell’arte per la natura in termini simbolici, facenti riferimento a dimensioni riflessive e non di piacevolezza e diporto. (5) Cfr. Umberto Galimberti, Tecnica e natura, in Annabella d’Atri, Vita e artificio. La filosofia di fronte a natura e tecnica, Milano, BUR, 2008, pp. 1-19. (6) Platone, Leggi, Libro X, 903c. (7) Galimberti, Tecnica e natura, cit., p.18 (8) Cfr. John Naish, Basta! Con i consumi superflui, con chi li incentiva, con chi non sa farne a meno [Enough. Breaking from the World of More, 2008], Roma, Fazi, 2009

riContemporaneo.org | opinioni, polemiche, proposte sull’arte contemporanea

6  | © blogMagazine pensato, realizzato e pubblicato in rete da Giorgio Seveso  dal 2011   |    Codice ISSN 2239-0235 | Lucrezia Rubini  Nata a Roma nel 1964, vive e opera a Guidonia. E’ curatrice, storica e critica d’arte, saggista e docente di storia dell’arte.
Anna Crescenzi, 2010, “Blu oltrecielo”, corteccia, rami, gesso, lamina d’oro, acrilico, cm. 103x400x70 Birgit Shola Starp, 2010, "Uomo-donna unicefali", 7 alberi di ulivo, canne, materiale recuperato Ugo Cordasco, 2010,“Terra”, lamiera di ferro calandrata, piegata, saldata e verniciata a caldo con polveri epossidiche, cm 210x180x39 Giovanni Battista Bianchi, 2010,“Immigrati”, materiale di riciclaggio, tronco, compensato fenolico ricoperto da laminato Werther Germondari, 2010, “Répondez s’il vous plaît”, 2010, scarti di travertino, m 6.50x10
Le opere qui riprodotte hanno partecipato alla mostra di Land art “UomoXArteXNatura”, tenutasi nel 2010 alle Terme di Tivoli a cura di Lucrezia Rubini

polemiche e proposte sull’arte contemporanea

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UOMO X ARTE X

NATURA

di Lucrezia Rubini Uomo x Arte= actio creativa ab origine Sin dalla sua comparsa sulla terra l’Uomo ha sentito l’esigenza di trasformare gli elementi naturali che aveva a disposizione, costruendo utensili ed esprimendo in questo modo la sua creatività, la capacità di escogitare soluzioni che potessero garantirgli la sopravvivenza e migliorare le sue condizioni. In tal senso tutte le espressioni, che definiamo artistiche, avevano sempre una funzione sacra o propiziatoria, legata soprattutto alla fertilità. È il caso delle dee Madri, cosiddette “Veneri”, che hanno abitato le grotte dell’uomo preistorico, propiziatorie della fertilità della donna e, se seppellite, anche della Terra (Tellus Mater): pertanto avevano una funzione rituale e simbolica. Anche le scene di caccia avevano un valore rituale e utile per esorcizzare le paure nell’affrontare animali feroci e pericolosi, con mezzi di difesa deboli; nel raffigurare la scena di caccia, il cacciatore riviveva tale esperienza traumatica, “raccontandola” nell’immagine e vincendo simbolicamente sul nemico, talvolta scagliando realmente delle frecce sulla parete rupestre. Pertanto possiamo dire che, sin dall’antichità - e questa peculiarità è rimasta costante - l’oggetto creato dall’uomo costituisce una compensazione delle sue deficienze anche fisiche e quindi un prolungamento e “messa in atto” delle sue potenzialità psico-fisiche. È inoltre innato nell’uomo l’istinto di creare oggetti, ovvero la tendenza a manipolare e trasformare le sostanze di cui si circonda, allo scopo di creare qualcosa che non esisteva già; in ciò l’oggetto diventa prolungamento del soggetto, proiezione in esso e, in parte, identificazione. Questo fatto è ben spiegato in tanti episodi della Mitologia per esempio quello di Pigmalione - e nella Creazione, in particolare dell’uomo, nel Libro della Genesi; in tal caso la creatività è intesa precisamente come manipolazione, coroplastica, azione che plasma una materia che poi “prende vita”. La carica attiva e vitale dell’opera d’arte è una dimensione estetica sempre sentita umanamente - basti pensare al potere taumaturgico delle immagini sacre. E questa identificazione Arte-Vita diventa diretta specialmente nelle opere di Land Art, realizzate con e all’interno di forme di vita, quale è appunto la Natura. Arte x Uomo= valore salvifico dell’indicibile L’arte ha, oggi più che mai, un valore eminentemente salvifico per l’uomo odierno. Questo consiste specificamente nella dimensione indicibile, invisibile, non conoscibile, impensabile, che caratterizza l’opera d’arte. Solo riuscendo a sentire - e proprio ad un “sentire comune”, universale e individuale allo stesso tempo fa appello l’opera d’arte - dimensioni immateriali e non-umane, si potrà avere coscienza della grandezza della natura e della finitezza dell’uomo. L’opera d’arte, offrendo codici di ricodificazione della realtà, potrà salvare l’uomo dimostrando la velleità del consumismo - ormai esautorato e non più in grado di soddisfare neanche i bisogni fittizi materiali (1) -, lancia verso l’immateriale e offre, ancora una volta, salvifico nutrimento per la mente. Proprio il quid invisibile che sottende e a cui rimanda l’opera d’arte potrà, ancora, salvare l’uomo “liquido” odierno (2) dall’età della finzione (3) in cui siamo immersi, che rischia di innescare pericolosissimi meccanismi di identificazione tra reale e virtuale, vero e falso, fantastico e illusorio, speranza e inganno. Ancora, il senso di illimitato e cosmico che emerge dall’opera d’arte può fornire quel salvifico, anch’esso, senso del limite perduto dall’uomo, illuso dalla tecnologia di essere “senza limiti”, di tutto sapere e tutto potere nell’immediato. Arte x Natura=rilettura inedita (4) L’arte può farsi strumento di rimemorazione e “risalita alle radici”, mitiche, che l’uomo odierno ha pericolosamente dimenticato. La schisi Uomo/Natura può essere rimarginata da un’arte che potrà farsi medium tra i due enti, grazie all’elemento che li accomuna: l’universalità. La Natura ha un carattere eminentemente universale: l’Uomo, capace di sentire e di avere autocoscienza di sentire, può riscattare il suo isolamento, mediante il riconoscere quel sentire come comune, ovvero socialmente e umanamente condiviso in modo universale. L’universalità della Natura, intesa come cosmo, e l’universalità dell’Uomo, intesa come condivisione sociale, democratica e solidale, possono entrare in osmosi mediante la specificità, anch’essa universale, dell’opera d’arte. Tale dimensione consiste nell’innescare, da parte dell’opera d’arte, verso il soggetto che ad essa “si affida”, dimensioni estetiche, ovvero di autocoscienza del sentire, simili a quelle che si possono avvertire di fronte alla grandezza e alla bellezza della Natura. Questo in quanto l’opera d’arte non è mai autoreferenziale, ma sempre allusiva, simbolica, facente appello a dimensioni dianoetiche della mente e a dimensioni eccedenti la realtà tangibile. Un’arte “al servizio della natura” potrà aiutarci a riavvicinarci a quella Natura, carica di una cosmicità antica e mitica, che avevamo dimenticato, perché presi dalla corsa anestetizzante verso l’accumulo del materiale. L’abuso del materiale ci ha reso ciechi, incapaci, ormai, di distinguere il virtuale dal reale, il presente dal passato e dal futuro, i desideri dai bisogni, in un apparire labile e senza radici. La “messa in scena”, da parte dell’intervento artistico, di porzioni, elementi della natura, possono sensibilizzare verso una cultura del rispetto e del semplice riconoscimento di essa, presupposto filosofico necessario per qualsiasi politica di recupero e tutela dell’ambiente, mediante un contatto nuovo con essa. Natura x Uomo= Vita La Natura esiste a prescindere dall’esistenza dell’Uomo, ma tale affermazione non è valida nel suo contrario: l’Uomo, infatti, non esiste senza la Natura, che gli dà la vita. La presunzione di fondo è che l’uomo ha sempre “trattato” la natura come se esistesse solo in funzione di sé, senza tener conto degli altri esseri viventi, animali e piante. La logica della natura considerata non come dimora, ma come campo di dominio, ha portato a trasformazioni profonde, irreversibili e rovinose, perpetrate dall’uomo sulla natura. La logica del dominio è strettamente legata a quella dell’individualismo e pertanto solo una prospettiva universalistica, di condivisione e salvaguardia della Terra, riconosciuta come bene comune e da condividere, potrà preservarla da danni ulteriori. Ancora una volta, la salvezza può derivare dal recupero della rammemorazione degli antichi miti, quando la Mater Natura era riconosciuta come infinitamente superiore all’uomo, che la temeva e la rispettava, ne faceva oggetto di culto, con riti ed espressioni artistiche. Tali espressioni artistiche possono ora “riattivarsi” per innescare nell’uomo processi di riflessione, di riconversione, di decrescita e di riarmonizzazione con e con l’ambiente che lo circonda; con ciò assumendo atteggiamenti diversi, anche di sano timore, per un’umanità nuova, all’insegna di una filosofia di vita diversa, neoumanistica, di contro all’uomo “senza limiti” odierno, che tutto pensa di potere, moderno cavaliere difensore del nulla, armato di una tecnologia di cui ha perso la capacità di gestione, ormai. Ancora una volta la filosofia viene prima della politica, affinché questa sia supportata da scelte ponderate, all’insegna di una nuova progettualità umanistica, di cui può farsi veicolo l’arte. Uomo x Natura= recupero di un equilibrio antico L’uomo, sin dall’antichità, plasmando gli elementi naturali, ha prodotto, con la sua creatività, oggetti che fossero in sintonia con l’armonia della Natura, e con quell’altra armonia che, come quid universale che accomuna tutti gli uomini, egli sentiva di sentire in stesso, esteticamente, appunto. Ora l’arte potrà farsi strumento attivo di recupero di tale antica armonia, unica via, sfidante, per l’Uomo odierno, per ritrovare, riconoscere e andare incontro a stesso, alla Natura circostante e agli uomini tutti. Tale recupero passa attraverso il recupero del Mito e del primordiale, di cui si fa carico e testimone l’arte, in quanto, esteticamente e pateticamente, offre una molteplicità infinita di sensi che rimandano allo stratificarsi di pathos e di memoria antica, che ne costituiscono il substrato da sentire e vivere intuitivamente. La cultura del rispetto della Natura, del riconoscimento della sua superiorità rispetto all’Uomo, del suo “esistere” prima dell’uomo- portatore della cosiddetta civiltà-, risale ai Greci (5). È presso i Greci che la Natura era pensata come un limite umanamente non oltrepassabile, a cui l’azione umana doveva sottostare, sia sul piano tecnico, sia politico. Alla Natura era riconosciuto un ordine immutabile, che l’uomo non può modificare, dominare, ma solo svelare. In tal senso l’uomo non è misura, ma è misurato dal cosmo. A tale proposito dice Platone: «Anche quel piccolo frammento che tu rappresenti, o uomo meschino, ha sempre il suo intimo rapporto con il cosmo e un orientamento ad esso, anche se non sembra che tu ti accorga che ogni vista sorge per il Tutto e per la felice condizione dell’universa armonia. Non per te infatti questa vita si svolge, ma tu piuttosto vieni generato per la vita cosmica» (6). La cultura ebraico-cristiana sostituisce alla visione cosmologica e mitologica greca, la visione antropocentrica, e “antropocratica”, per cui la natura è da trasformare, commisurare all’uomo, alla sua intelligenza, alle sue esigenze, alla sua progettualità. Al dominio degli dei, subentra il regno degli uomini, dell’”homo faber fortuna sua”, ovvero di un uomo nuovo, padrone del suo destino e del futuro, che si illude di poter commisurare la Natura a sé, piegandola alla piccola logica della materialità, all’insegna del progresso tecnologico. Purtroppo i due termini, uomo/ tecnica, si sono invertiti e mentre nell’era preindustriale la tecnica, gestita dall’uomo, organizzava la natura, ora è l’uomo che ha perso il controllo di quella stessa tecnica che lui aveva escogitato, divenendone succube impotente: ora è l’uomo, ad essere dominato da una natura sconvolta, perché non è stato capace di riconoscere i propri limiti. È chiaro che il recupero di un equilibrio antico, non può essere pensato come un velleitario ritorno al “buon tempo antico” ma, come sintetizza Umberto Galimberti: «...anche di fronte alla catastrofe tecnica, il rimedio non può essere che tecnico, cioè nella direzione di un ulteriore incremento della tecnica, in vista della creazione di macchine di controllo più intelligenti delle macchine da controllare» (7). La tecnologia stessa, quindi, dovrà essere lo strumento da usare da parte dell’Uomo per attuare un processo inverso, nel rapporto Uomo/Natura; ma tale “tecnologia di recupero” indurrà agli stessi errori, ed anche peggiori e davvero disastrosi, se non sarà supportata da una filosofia di vita diversa. Solo una filosofia della sottrazione, del meno, dell’assenza, del nulla, del silenzio, della donazione, del non luogo, dell’immateriale, della stasi, potrà liberare l’uomo dalla presuntuosa onniscienza, con cui ha pericolosamente squarciato il mitico velo di Maia, rivelando un inconoscibile orribile. Il bisogno, proprio dell’Uomo, di andare oltre, di condividere i sentimenti, kantianamente, come “senso comune” è diventato un oltrepassare ed eccedere sensoriale, una corsa spasmodica verso un’accumulazione ormai soffocante e ingestibile. I nostri desideri superflui sono alimentati da una politica economica, che ci ha reso “dipendenti” da un bisogno inalienabile, e alienante, dell’eccesso a oltranza (8). Lo iato che si è creato con la Natura potrà essere recuperato proprio con la presa di coscienza e la riflessione che potrà derivare all’Uomo, tramite l’arte. L’arte, infatti, può disinnescare e fornire risposte adeguate al bisogno innato di immateriale dell’Uomo, mediante dimensioni eccedenti. Il carattere di “eccedenza” dell’arte potrà spezzare la perversa spirale dell’eccesso della società odierna, in quanto potrà fornire risposte non transeunti, ma profonde. _________________________________________ (1) Cfr. Richard Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale, [1998], trad. di Mirko Tavosanis Shake, Milano, Feltrinelli, (1999), 2007. (2) Cfr. Zygmunt Bauman, Modus vivendi. Inferno e utopia del mondo liquido, Roma-Bari, Laterza, 2007. (3) Cfr. Massimo Melotti, L’età della finzione, Roma, Luca Sossella, 2008. (4) Il rapporto arte/ natura potrebbe essere riferito alla vastissima tematica dell’architettura dei giardini, che qui non può essere sviluppata, non solo per motivi di spazio, ma in quanto tale rapporto viene qui interpretato in senso non decorativo, ma estetico; ovvero cercherò di sviluppare, in questa sede, la tesi dell’utilità dell’arte per la natura in termini simbolici, facenti riferimento a dimensioni riflessive e non di piacevolezza e diporto. (5) Cfr. Umberto Galimberti, Tecnica e natura, in Annabella d’Atri, Vita e artificio. La filosofia di fronte a natura e tecnica, Milano, BUR, 2008, pp. 1-19. (6) Platone, Leggi, Libro X, 903c. (7) Galimberti, Tecnica e natura, cit., p.18 (8) Cfr. John Naish, Basta! Con i consumi superflui, con chi li incentiva, con chi non sa farne a meno [Enough. Breaking from the World of More, 2008], Roma, Fazi, 2009
Lucrezia Rubini  Nata a Roma nel 1964, vive e opera a Guidonia. E’ curatrice, storica e critica d’arte, saggista e docente di storia dell’arte. Anna Crescenzi, 2010, “Blu oltrecielo”, corteccia, rami, gesso, lamina d’oro, acrilico, cm. 103x400x70 Birgit Shola Starp, 2010, "Uomo-donna unicefali", 7 alberi di ulivo, canne, materiale recuperato Giovanni Battista Bianchi, 2010,“Immigrati”, materiale di riciclaggio, tronco, compensato fenolico ricoperto da laminato Werther Germondari, 2010, “Répondez s’il vous plaît”, 2010, scarti di travertino, m 6.50x10
__________________________________ Le opere qui riprodotte hanno partecipato alla mostra di Land art “UomoXArteXNatura”, tenutasi nel 2010 alle Terme di Tivoli a cura di Lucrezia Rubini