UOMO X ARTE X NATURA
di Lucrezia Rubini
Uomo x Arte= actio creativa ab origine
Sin
dalla
sua
comparsa
sulla
terra
l’Uomo
ha
sentito
l’esigenza
di
trasformare
gli
elementi
naturali
che
aveva
a
disposizione,
costruendo
utensili
ed
esprimendo
in
questo
modo
la
sua
creatività,
la
capacità
di
escogitare
soluzioni
che
potessero
garantirgli
la
sopravvivenza
e
migliorare
le
sue
condizioni.
In
tal
senso
tutte
le
espressioni,
che
definiamo
artistiche,
avevano
sempre
una
funzione
sacra
o
propiziatoria,
legata
soprattutto
alla
fertilità.
È
il
caso
delle
dee
Madri,
cosiddette
“Veneri”,
che
hanno
abitato
le
grotte
dell’uomo
preistorico,
propiziatorie
della
fertilità
della
donna
e,
se
seppellite,
anche
della
Terra
(Tellus
Mater):
pertanto
avevano
una
funzione
rituale
e
simbolica.
Anche
le
scene
di
caccia
avevano
un
valore
rituale
e
utile
per
esorcizzare
le
paure
nell’affrontare
animali
feroci
e
pericolosi,
con
mezzi
di
difesa
deboli;
nel
raffigurare
la
scena
di
caccia,
il
cacciatore
riviveva
tale
esperienza
traumatica,
“raccontandola”
nell’immagine
e
vincendo
simbolicamente
sul
nemico,
talvolta
scagliando
realmente
delle
frecce
sulla
parete
rupestre.
Pertanto
possiamo
dire
che,
sin
dall’antichità
-
e
questa
peculiarità
è
rimasta
costante
-
l’oggetto
creato
dall’uomo
costituisce
una
compensazione
delle
sue
deficienze
anche
fisiche
e
quindi
un
prolungamento
e “messa in atto” delle sue potenzialità psico-fisiche.
È
inoltre
innato
nell’uomo
l’istinto
di
creare
oggetti,
ovvero
la
tendenza
a
manipolare
e
trasformare
le
sostanze
di
cui
si
circonda,
allo
scopo
di
creare
qualcosa
che
non
esisteva
già;
in
ciò
l’oggetto
diventa
prolungamento
del
soggetto,
proiezione
in
esso
e,
in
parte,
identificazione.
Questo
fatto
è
ben
spiegato
in
tanti
episodi
della
Mitologia
–
per
esempio
quello
di
Pigmalione
-
e
nella
Creazione,
in
particolare
dell’uomo,
nel
Libro
della
Genesi;
in
tal
caso
la
creatività
è
intesa
precisamente
come
manipolazione,
coroplastica,
azione
che
plasma una materia che poi “prende vita”.
La
carica
attiva
e
vitale
dell’opera
d’arte
è
una
dimensione
estetica
sempre
sentita
umanamente
-
basti
pensare
al
potere
taumaturgico
delle
immagini
sacre.
E
questa
identificazione
Arte-Vita
diventa
diretta
specialmente
nelle
opere
di
Land
Art,
realizzate
con
e
all’interno
di
forme
di
vita,
quale
è
appunto
la
Natura.
Arte x Uomo= valore salvifico dell’indicibile
L’arte
ha,
oggi
più
che
mai,
un
valore
eminentemente
salvifico
per
l’uomo
odierno.
Questo
consiste
specificamente
nella
dimensione
indicibile,
invisibile,
non
conoscibile,
impensabile,
che
caratterizza
l’opera
d’arte.
Solo
riuscendo
a
sentire
-
e
proprio
ad
un
“sentire
comune”,
universale
e
individuale
allo
stesso
tempo
fa
appello
l’opera
d’arte
-
dimensioni
immateriali
e
non-umane,
si
potrà
avere
coscienza
della
grandezza della natura e della finitezza dell’uomo.
L’opera
d’arte,
offrendo
codici
di
ricodificazione
della
realtà,
potrà
salvare
l’uomo
dimostrando
la
velleità
del
consumismo
-
ormai
esautorato
e
non
più
in
grado
di
soddisfare
neanche
i
bisogni
fittizi
materiali
(1)
-,
lancia
verso
l’immateriale
e
offre,
ancora una volta, salvifico nutrimento per la mente.
Proprio
il
quid
invisibile
che
sottende
e
a
cui
rimanda
l’opera
d’arte
potrà,
ancora,
salvare
l’uomo
“liquido”
odierno
(2)
dall’età
della
finzione
(3)
in
cui
siamo
immersi,
che
rischia
di
innescare
pericolosissimi
meccanismi
di
identificazione
tra
reale
e
virtuale,
vero
e
falso,
fantastico
e
illusorio,
speranza
e
inganno.
Ancora,
il
senso
di
illimitato
e
cosmico
che
emerge
dall’opera
d’arte
può
fornire
quel
salvifico,
anch’esso,
senso
del
limite
perduto
dall’uomo,
illuso
dalla
tecnologia
di
essere
“senza limiti”, di tutto sapere e tutto potere nell’immediato.
Arte x Natura=rilettura inedita (4)
L’arte
può
farsi
strumento
di
rimemorazione
e
“risalita
alle
radici”,
mitiche,
che
l’uomo
odierno
ha
pericolosamente
dimenticato.
La
schisi
Uomo/Natura
può
essere
rimarginata
da
un’arte
che
potrà
farsi
medium
tra
i
due
enti,
grazie
all’elemento
che
li
accomuna:
l’universalità.
La
Natura
ha
un
carattere
eminentemente
universale:
l’Uomo,
capace
di
sentire
e
di
avere
autocoscienza
di
sentire,
può
riscattare
il
suo
isolamento,
mediante
il
riconoscere
quel
sentire
come
comune,
ovvero
socialmente
e
umanamente
condiviso
in
modo universale.
L’universalità
della
Natura,
intesa
come
cosmo,
e
l’universalità
dell’Uomo,
intesa
come
condivisione
sociale,
democratica
e
solidale,
possono
entrare
in
osmosi
mediante
la
specificità,
anch’essa
universale,
dell’opera
d’arte.
Tale
dimensione
consiste
nell’innescare,
da
parte
dell’opera
d’arte,
verso
il
soggetto
che
ad
essa
“si
affida”,
dimensioni
estetiche,
ovvero
di
autocoscienza
del
sentire,
simili
a
quelle
che
si
possono
avvertire
di
fronte
alla
grandezza
e
alla
bellezza
della
Natura.
Questo
in
quanto
l’opera
d’arte
non
è
mai
autoreferenziale,
ma
sempre
allusiva,
simbolica,
facente
appello
a
dimensioni
dianoetiche
della
mente
e
a
dimensioni
eccedenti
la
realtà
tangibile.
Un’arte
“al
servizio
della
natura”
potrà
aiutarci
a
riavvicinarci
a
quella
Natura,
carica
di
una
cosmicità
antica
e
mitica,
che
avevamo
dimenticato,
perché
presi
dalla
corsa
anestetizzante
verso
l’accumulo
del
materiale.
L’abuso
del
materiale
ci
ha
reso
ciechi,
incapaci,
ormai,
di
distinguere
il
virtuale
dal
reale,
il
presente
dal
passato
e
dal
futuro,
i
desideri
dai
bisogni,
in
un apparire labile e senza radici.
La
“messa
in
scena”,
da
parte
dell’intervento
artistico,
di
porzioni,
elementi
della
natura,
possono
sensibilizzare
verso
una
cultura
del
rispetto
e
del
semplice
riconoscimento
di
essa,
presupposto
filosofico
necessario
per
qualsiasi
politica
di
recupero
e
tutela
dell’ambiente,
mediante
un
contatto
nuovo con essa.
Natura x Uomo= Vita
La
Natura
esiste
a
prescindere
dall’esistenza
dell’Uomo,
ma
tale
affermazione
non
è
valida
nel
suo
contrario:
l’Uomo,
infatti, non esiste senza la Natura, che gli dà la vita.
La
presunzione
di
fondo
è
che
l’uomo
ha
sempre
“trattato”
la
natura
come
se
esistesse
solo
in
funzione
di
sé,
senza
tener
conto
degli
altri
esseri
viventi,
animali
e
piante.
La
logica
della
natura
considerata
non
come
dimora,
ma
come
campo
di
dominio,
ha
portato
a
trasformazioni
profonde,
irreversibili
e
rovinose,
perpetrate
dall’uomo
sulla
natura.
La
logica
del
dominio
è
strettamente
legata
a
quella
dell’individualismo
e
pertanto
solo
una
prospettiva
universalistica,
di
condivisione
e
salvaguardia
della
Terra,
riconosciuta
come
bene
comune
e
da condividere, potrà preservarla da danni ulteriori.
Ancora
una
volta,
la
salvezza
può
derivare
dal
recupero
della
rammemorazione
degli
antichi
miti,
quando
la
Mater
Natura
era
riconosciuta
come
infinitamente
superiore
all’uomo,
che
la
temeva
e
la
rispettava,
ne
faceva
oggetto
di
culto,
con
riti
ed
espressioni artistiche.
Tali
espressioni
artistiche
possono
ora
“riattivarsi”
per
innescare
nell’uomo
processi
di
riflessione,
di
riconversione,
di
decrescita
e
di
riarmonizzazione
con
sé
e
con
l’ambiente
che
lo
circonda;
con
ciò
assumendo
atteggiamenti
diversi,
anche
di
sano
timore,
per
un’umanità
nuova,
all’insegna
di
una
filosofia
di
vita
diversa,
neoumanistica,
di
contro
all’uomo
“senza
limiti”
odierno,
che
tutto
pensa
di
potere,
moderno
cavaliere
difensore
del
nulla,
armato
di
una
tecnologia
di
cui
ha perso la capacità di gestione, ormai.
Ancora
una
volta
la
filosofia
viene
prima
della
politica,
affinché
questa
sia
supportata
da
scelte
ponderate,
all’insegna
di
una
nuova
progettualità
umanistica,
di
cui
può
farsi veicolo l’arte.
Uomo x Natura= recupero di un equilibrio antico
L’uomo,
sin
dall’antichità,
plasmando
gli
elementi
naturali,
ha
prodotto,
con
la
sua
creatività,
oggetti
che
fossero
in
sintonia
con
l’armonia
della
Natura,
e
con
quell’altra
armonia
che,
come
quid
universale
che
accomuna
tutti
gli
uomini,
egli
sentiva di sentire in sé stesso, esteticamente, appunto.
Ora
l’arte
potrà
farsi
strumento
attivo
di
recupero
di
tale
antica
armonia,
unica
via,
sfidante,
per
l’Uomo
odierno,
per
ritrovare,
riconoscere
e
andare
incontro
a
sé
stesso,
alla
Natura circostante e agli uomini tutti.
Tale
recupero
passa
attraverso
il
recupero
del
Mito
e
del
primordiale,
di
cui
si
fa
carico
e
testimone
l’arte,
in
quanto,
esteticamente
e
pateticamente,
offre
una
molteplicità
infinita
di
sensi
che
rimandano
allo
stratificarsi
di
pathos
e
di
memoria
antica,
che
ne
costituiscono
il
substrato
da
sentire
e
vivere intuitivamente.
La
cultura
del
rispetto
della
Natura,
del
riconoscimento
della
sua
superiorità
rispetto
all’Uomo,
del
suo
“esistere”
prima
dell’uomo- portatore della cosiddetta civiltà-, risale ai Greci (5).
È
presso
i
Greci
che
la
Natura
era
pensata
come
un
limite
umanamente
non
oltrepassabile,
a
cui
l’azione
umana
doveva
sottostare,
sia
sul
piano
tecnico,
sia
politico.
Alla
Natura
era
riconosciuto
un
ordine
immutabile,
che
l’uomo
non
può
modificare,
né
dominare,
ma
solo
svelare.
In
tal
senso
l’uomo
non
è
misura,
ma
è
misurato
dal
cosmo.
A
tale
proposito
dice
Platone:
«Anche
quel
piccolo
frammento
che
tu
rappresenti,
o
uomo
meschino,
ha
sempre
il
suo
intimo
rapporto
con
il
cosmo
e
un
orientamento
ad
esso,
anche
se
non
sembra
che
tu
ti
accorga
che
ogni
vista
sorge
per
il
Tutto
e
per
la
felice
condizione
dell’universa
armonia.
Non
per
te
infatti
questa
vita
si
svolge,
ma
tu
piuttosto
vieni
generato
per
la
vita
cosmica» (6).
La
cultura
ebraico-cristiana
sostituisce
alla
visione
cosmologica
e
mitologica
greca,
la
visione
antropocentrica,
e
“antropocratica”,
per
cui
la
natura
è
da
trasformare,
commisurare
all’uomo,
alla
sua
intelligenza,
alle
sue
esigenze,
alla
sua
progettualità.
Al
dominio
degli
dei,
subentra
il
regno
degli
uomini,
dell’”homo
faber
fortuna
sua”,
ovvero
di
un
uomo
nuovo,
padrone
del
suo
destino
e
del
futuro,
che
si
illude
di
poter
commisurare
la
Natura
a
sé,
piegandola
alla
piccola
logica
della
materialità,
all’insegna
del
progresso
tecnologico.
Purtroppo
i
due
termini,
uomo/
tecnica,
si
sono
invertiti
e
mentre
nell’era
preindustriale
la
tecnica,
gestita
dall’uomo,
organizzava
la
natura,
ora
è
l’uomo
che
ha
perso
il
controllo
di
quella
stessa
tecnica
che
lui
aveva
escogitato,
divenendone
succube
impotente:
ora
è
l’uomo,
ad
essere
dominato
da
una
natura
sconvolta,
perché
non
è
stato
capace
di
riconoscere
i
propri limiti.
È
chiaro
che
il
recupero
di
un
equilibrio
antico,
non
può
essere
pensato
come
un
velleitario
ritorno
al
“buon
tempo
antico”
ma,
come
sintetizza
Umberto
Galimberti:
«...anche
di
fronte
alla
catastrofe
tecnica,
il
rimedio
non
può
essere
che
tecnico,
cioè
nella
direzione
di
un
ulteriore
incremento
della
tecnica,
in
vista
della
creazione
di
macchine
di
controllo
più
intelligenti delle macchine da controllare» (7).
La
tecnologia
stessa,
quindi,
dovrà
essere
lo
strumento
da
usare
da
parte
dell’Uomo
per
attuare
un
processo
inverso,
nel
rapporto
Uomo/Natura;
ma
tale
“tecnologia
di
recupero”
indurrà
agli
stessi
errori,
ed
anche
peggiori
e
davvero
disastrosi,
se
non
sarà
supportata
da
una
filosofia
di
vita
diversa.
Solo
una
filosofia
della
sottrazione,
del
meno,
dell’assenza,
del
nulla,
del
silenzio,
della
donazione,
del
non
luogo,
dell’immateriale,
della
stasi,
potrà
liberare
l’uomo
dalla
presuntuosa
onniscienza,
con
cui
ha
pericolosamente
squarciato
il
mitico
velo
di
Maia,
rivelando
un
inconoscibile
orribile.
Il
bisogno,
proprio
dell’Uomo,
di
andare
oltre,
di
condividere
i
sentimenti,
kantianamente,
come
“senso
comune”
è
diventato
un
oltrepassare
ed
eccedere
sensoriale,
una
corsa
spasmodica
verso
un’accumulazione
ormai
soffocante e ingestibile.
I
nostri
desideri
superflui
sono
alimentati
da
una
politica
economica,
che
ci
ha
reso
“dipendenti”
da
un
bisogno
inalienabile, e alienante, dell’eccesso a oltranza (8).
Lo
iato
che
si
è
creato
con
la
Natura
potrà
essere
recuperato
proprio
con
la
presa
di
coscienza
e
la
riflessione
che
potrà
derivare all’Uomo, tramite l’arte.
L’arte,
infatti,
può
disinnescare
e
fornire
risposte
adeguate
al
bisogno
innato
di
immateriale
dell’Uomo,
mediante
dimensioni
eccedenti.
Il
carattere
di
“eccedenza”
dell’arte
potrà
spezzare
la
perversa
spirale
dell’eccesso
della
società
odierna,
in
quanto
potrà
fornire
risposte
non
transeunti,
ma
profonde.
_________________________________________
(1)
Cfr.
Richard
Sennett,
L’uomo
flessibile.
Le
conseguenze
del
nuovo
capitalismo
sulla
vita
personale,
[1998],
trad.
di
Mirko
Tavosanis Shake, Milano, Feltrinelli, (1999), 2007.
(2)
Cfr.
Zygmunt
Bauman,
Modus
vivendi.
Inferno
e
utopia
del
mondo liquido, Roma-Bari, Laterza, 2007.
(3)
Cfr.
Massimo
Melotti,
L’età
della
finzione,
Roma,
Luca
Sossella,
2008.
(4)
Il
rapporto
arte/
natura
potrebbe
essere
riferito
alla
vastissima
tematica
dell’architettura
dei
giardini,
che
qui
non
può
essere
sviluppata,
non
solo
per
motivi
di
spazio,
ma
in
quanto
tale
rapporto
viene
qui
interpretato
in
senso
non
decorativo,
ma
estetico;
ovvero
cercherò
di
sviluppare,
in
questa
sede,
la
tesi
dell’utilità
dell’arte
per
la
natura
in
termini
simbolici,
facenti
riferimento
a
dimensioni
riflessive
e
non
di
piacevolezza
e
diporto.
(5)
Cfr.
Umberto
Galimberti,
Tecnica
e
natura,
in
Annabella
d’Atri,
Vita
e
artificio.
La
filosofia
di
fronte
a
natura
e
tecnica,
Milano,
BUR, 2008, pp. 1-19.
(6)
Platone, Leggi, Libro X, 903c.
(7)
Galimberti, Tecnica e natura, cit., p.18
(8)
Cfr.
John
Naish,
Basta!
Con
i
consumi
superflui,
con
chi
li
incentiva,
con
chi
non
sa
farne
a
meno
[Enough.
Breaking
from
the World of More, 2008], Roma, Fazi, 2009
Le
opere
qui
riprodotte
hanno
partecipato
alla
mostra
di
Land
art
“UomoXArteXNatura”,
tenutasi
nel
2010
alle
Terme
di
Tivoli a cura di Lucrezia Rubini