3 maggio 2022
La guerra in Ucraina è
l'escalation della disumanità
di Edgar Morin
Viviamo
una
pace
bellica,
il
corpo
comodamente
in
pace,
la
mente
tra
bombe
e
macerie.
Attacchiamo
a
parole
un
nemico
che
ci
attacca
a
sua
volta
con
le
minacce,
ma
noi
dormiamo
nel
nostro
letto,
non
in
un
rifugio.
Eppure
partecipiamo
alla
vera
guerra
senza esservi entrati, ma portando armi e munizioni. […]
La
strategia
dell’esercito
russo
è
implacabile.
È
figlia
della
strategia
di
Zhukov
durante
la
seconda
guerra
mondiale,
che
dava
il
ruolo
primario
ai
formidabili
bombardamenti
dell’artiglieria,
non
solo
contro
l’esercito
nemico,
ma
anche
contro
le
città
da
prendere,
lasciando
alla
fine
l’annientamento
totale
della
capitale
del
Reich,
Berlino,
con
l’artiglieria
pesante.
Come
accade
con
ogni
esercito
vittorioso,
ma
più
terribilmente
nell’avanzata
sovietica
in
Germania,
furono
innumerevoli
i
massacri
e
gli
stupri.
Allora
lo
sapevamo,
ma
ci
guardavamo
bene
dal
denunciarli,
spiegandoli
come
una
vendetta
per
le
enormi
sofferenze
e
le
morti
inflitte
dalla
Germania
nazista
alle
popolazioni sovietiche.
Per
quanto
riguarda
l’Ucraina,
un
popolo
se
non
fratello
almeno
cugino
stretto
del
popolo
russo,
ci
si
può
chiedere
se
i
massacri
e
gli
stupri
siano
dovuti
al
disordine
di
certe
truppe,
alla
furia
del
fallimento o alla volontà di diffondere il terrore. […]
Il
carattere
internazionale
della
guerra
in
Ucraina
sta
crescendo.
È
vero
che
il
campo
occidentale,
guidato
dagli
Stati
Uniti,
dichiara
di
non
essere
in
guerra
con
la
Russia.
Ma
il
suo
intervento
militare
a
favore
dell’Ucraina
è
una
guerra
indiretta,
a
cui
si
aggiunge
una
guerra
economica
acuita
dall’aumento
delle
sanzioni.
Siamo
in
piena
escalation,
sostenuta
da
nuovi
bombardamenti,
nuove
accuse
reciproche,
nuove
ondate
di
criminalizzazione
reciproca.
La
guerra
indiretta
inclusa
nella
guerra
d’Ucraina
può
in
qualsiasi
momento
allargarsi
in
seguito
a
dei
bombardamenti
non
accidentali
sul
territorio
russo
o
europeo.
Oltre
a
questo,
Putin
ha
ripetuto
la
sua
minaccia
di
una
risposta
“immediata
e
fulminea”
se
una
certa
soglia
non
specificata
di
ostilità
o
interferenza
minacciasse
la
Russia,
riferendosi
a
un’arma
decisiva,
sconosciuta
a qualsiasi altro Paese, che solo la Russia possiederebbe.
Questa
minaccia
non
è
presa
sul
serio
dagli
Stati
Uniti
e
dai
suoi
alleati,
sulla
base
di
un
argomento
apparentemente
razionale,
ben
noto
fin
dalla
guerra
fredda.
Se
la
Russia
vuole
annientarci,
una
risposta
immediata
la
annienterebbe
a
sua
volta.
Questo
argomento
razionale
non
tiene
conto
di
una
possibile
accidentalità
e
di
una
possibile
irrazionalità.
La
possibile
accidentalità
sarebbe
il
lancio
involontario
di
un
ordigno
nucleare
contro
il
potenziale
nemico,
che
scatenerebbe
una
risposta
nucleare
immediata.
La
possibile
irrazionalità
è
quella
di
un
dittatore pieno di rabbia o in preda al delirio. […]
Aggiungiamo
un’osservazione
importante:
la
guerra
introduce
nei
Paesi
in
conflitto
controlli,
sorveglianza,
l’eliminazione
di
qualsiasi
opinione
che
si
discosti
dalla
linea
ufficiale
e
lo
scatenamento
della
propaganda
per
giustificare
permanentemente
i
propri
atti
e
criminalizzare
ontologicamente
il
nemico.
La
Russia
di
Putin
era
già uno Stato autoritario agli ordini di un dittatore.
La
guerra
ha
aggravato
il
controllo
e
la
repressione
lì,
colpendo
non
solo
coloro
che
si
sono
opposti
all’aggressione,
ma
anche
coloro
che
hanno
messo
in
dubbio
la
sua
validità.
In
Ucraina,
la
caccia
alle
spie
e
ai
terroristi
ha
dato
luogo
a
un
controllo
della
popolazione,
gli
eccessi
commessi
da
alcune
delle
sue
truppe
o
dai
banderisti
vengono
nascosti,
e
pur
denunciando
delle
violenze
reali,
la
propaganda
si
scatena
contro
un
nemico
totalmente criminalizzato. […]
Siamo
nell’escalation
della
disumanità
e
nel
crollo
dell’umanità,
nell’escalation
del
semplicismo
e
nel
crollo
della
complessità.
Ma
soprattutto,
l’escalation
verso
la
guerra
globale
è
il
crollo
dell’umanità nell’abisso.
Possiamo
sfuggire
a
questa
logica
infernale?
L’unica
possibilità
sarebbe
un
compromesso
di
pace
che
stabilisca
e
garantisca
la
neutralità
dell’Ucraina.
Lo
status
delle
regioni
russofone
del
Donbass
potrebbe
essere
deciso
con
un
referendum.
Quello
della
Crimea,
una
regione
tartara
parzialmente
russificata,
meriterebbe
uno
status
speciale.
Insomma,
le
condizioni
per
un
compromesso,
per
quanto
difficile
da
stabilire,
sono
chiare.
Ma
la
radicalizzazione
e
l’ampliamento
della
guerra
ne
stanno
innegabilmente riducendo le possibilità. […]
L’Ucraina
è
vittima
non
solo
della
Russia,
ma
del
peggioramento
delle
relazioni
conflittuali
tra
gli
Stati
Uniti
e
la
Russia,
compreso,
naturalmente,
l’allargamento
della
Nato,
che
è
a
sua
volta
inseparabile
dalle
preoccupazioni
sollevate
dalla
guerra
russa
in
Cecenia
e
dal
suo
intervento
militare
in
Georgia.
La
salvezza
dell’Ucraina
non
sta
solo
nel
liberarsi
dall’invasione
russa,
ma
anche
dall’antagonismo
tra
la
Russia
e
gli
Stati
Uniti.
Le
sanzioni
contro
la
Russia,
pur
colpendo
duramente
non
solo
il
regime
di
Putin,
ma
anche
il
popolo
russo,
non
sappiamo
fino
a
che
punto
colpiscano
anche
i
sanzionatori
ricadendo
in
parte
su
di
loro:
non
è
solo
il
loro
approvvigionamento
energetico
e
alimentare
ad
essere
minacciato,
è
senza
dubbio,
con
l’aumento
dell’inflazione
e
le
restrizioni
a
venire,
la
loro
economia
e
tutta
la
loro
vita
sociale:
una
crisi
economica
è
sempre
di
per
sé
generatrice
di
regressioni
autoritarie
e
dell’instaurazione
durevole
di
società
di
sottomissione.
La
Russia
di
Putin
è
un
abominevole
regime
autoritario.
Ma
non
è
paragonabile
alla
Germania
di
Hitler;
il
suo
egemonismo
panslavista
non
è,
come
quello
di
Hitler,
la
volontà
di
colonizzare
l’Europa
e
di
schiavizzare
i
popoli
razzialmente
inferiori.
Qualsiasi
hitlerizzazione
di
Putin
è
eccessiva.
Siamo
in
un
mondo
dominato
dagli
antagonismi
tra
le
superpotenze
e
consegnato
a
deliri
etnici,
nazionalisti,
razzisti
e
religiosi.
Per
quanto
le
superpotenze
possano
essere
ripugnanti
in
vari
modi,
la
distensione
nei
loro
conflitti
è
una
condizione
sine
qua
non
per
evitare
disastri
diffusi.
Dobbiamo
quindi
sforzarci
di
raggiungere
un
compromesso.
Questo
non
salverebbe
l’umanità,
ma
ne
guadagnerebbe
una
tregua e, forse, una speranza.
(traduzione di Luis E. Moriones)
Riproduco
qui
alcuni
brani
tra
i
più
significativi
di
un
articolo
che
il
celebre
filosofo
francese
ha
pubblicato
recentemente
su
Repubblica.
Si
tratta,
come
di
consueto,
di
un
testo
di
grande
lucidità
e,
pur
non
riguardando
l’arte,
mi
sembra
interessante
richiamarlo.
Per
leggere
l’articolo
integrale
si
può
cliccare
il
collegamento
qui
sotto, che però temo sia riservato agli abbonati. (G.S.)