19/11/2020
IL RIPARATORE DI FOGLIE
Prendersi cura e «riparare» le foglie secche è, per me,
metafora di quanto l'uomo dovrebbe fare con la
natura
di Leonardo Maralla
Nel più umile degli oggetti…
Affaticata e logorata da mesi di lavoro,
sempre esposta ad intemperie,
frammentata e rinsecchita,
ora anche caduta a terra lontana dall’amato ramo
per essere accatastata, spazzata o incenerita,
aspetto.
Solo indifferenza e fastidio da parte di colui
che proprio ora ci calpesta o ci soffoca in neri sacchi.
Temo la sua scarpa. Proprio lui,
che abbiamo tenuto in vita.
Si ferma, osserva, si china,
raccoglie, scruta, aspira il mio profumo.
Che fa?
Mi pulisce, mi rinforza e protegge,
con maestria e pazienza ricostruisce la mia punta andata persa
e il picciolo spezzato.
Sarà un pericoloso perverso con rituali ossessivi
o forse…
Perché? Cosa…
Un po’ matto di sicuro lo è.
Ora mi alloggia in una semplice casetta
e ritrovo nuove compagne.
Mi sento quasi bella, importante,
rispettata, amata…
E matto anche questo papa,
uno dei pochi umani che si ricorda di me,
piccolo e schivo esemplare della natura.
Francesco, che invita a tendere la mano al povero ma, attenzione,
dove povero non è solo l’uomo perché
“tra i poveri più abbandonati e maltrattati c’è la nostra
oppressa e devastata terra”.
E questo reputo arte:
fermarsi, stupirsi, raccogliere, celebrare, proteggere
rispettare, amare, cercare di amare…
tutto e tutti,
matti, disperati o sfigati,
pinguini e bruchi,
larici e foglie secche,
sassi e marmi.
Perché in tutto può essere bellezza e divinità.
A
conclusione
di
queste
parole
in
libertà,
cadute
pure
loro
come
foglie
secche,
mi
piace
ricordare
il
messaggio
di
Henry
Miller
che,
oltre
ad
essere
famoso
saggista
e
scrittore
(autore
di
opere
notevoli
quali
«Il
Tropico
del
cancro»
e
«Il
Tropico
del
capricorno»)
è
stato
un
valente
pittore.
Scriveva in «Dipingere è amare di nuovo»:
“Alla
fine,
come
al
principio,
la
parola
è
il
mistero.
Questo
MISTERO
esiste
e
fiorisce
in
ogni
più
piccola
parte
dell’universo.
Non
ha
niente
a
che
fare
con
la
dimensione
o
la
distanza,
con
la
grandiosità
o
la
lontananza.
(…)
Nel
più
umile
degli
oggetti
possiamo
trovare
qualsiasi
cosa
ricerchiamo,
sia
essa
la
bellezza,
la
realtà,
la
divinità.
L’artista
non
crea queste qualità, egli le scopre, o le svela, nel processo del fare.”