10/08/2020
IL RIDICOLO
INTERESSE DELL’ARTE
PER L’ECOLOGIA
di Dario Orphée La Mendola
Le
modalità
con
cui
l’arte
contemporanea
tratta
i
temi
ambientali,
fuori
da
qualsiasi
tentativo
di
sottolineare
i
fallimenti
culturali
ed
economici,
fuori
da
una
riflessione
concreta
o
da
un
impianto
pedagogico,
con
mostre
ridicole
che
contengono
opere
ridicole,
sorrette
da
scritti
critici
ridicoli
i
cui
autori
sono
infidi
e
palesemente
impreparati,
a
mio
avviso
costituiscono
un
pericolo
la
cui
gravità
è
pari
all’esplosione
di
una centrale nucleare, ma al rallentatore…
Sei
mai
stato/a
in
collina
la
sera,
accanto
a
un
ruscello,
un
laghetto,
a
percepire
la
frescura
umida,
a
osservare
le
stelle
e
udire
il
gracidare
delle
rane?
Quel
“gra
gra
gra”
a
intermittenza,
continuo,
in
coro,
instancabile,
non
è
affascinante?
Cosa
diranno
mai
questi
splendidi
anfibi,
sotto
lo
sguardo
docile
della
luna?
Mortificheranno
l’insensatezza
di
vivere,
facendole
il
“verso”?
Racconteranno
tra
loro
le
avventure
quotidiane?
Canteranno,
pregheranno?
Ma
sì,
certo
che
sì.
E
chi
può
contraddire
ciò
che
sostengo,
e
cioè
che
le
rane
siano
le
poetesse
dell’ultima
fase
evolutiva
di questo fragile pianeta?
Ogni
sera
faccio
sempre
la
stessa
cosa.
Perché,
in
fondo,
ho
un’esistenza
del
tutto
inutile.
All’incirca
tra
le
diciannove
e
le
venti
cerco,
con
le
mie
orecchie,
le
rane
che
una
volta
udivo
dalla
finestra
di
casa.
Poi,
sconfitto,
mi
siedo
davanti
la
tv
per
guardare
i
vari
telegiornali.
Lungi
da
un
interesse
reale,
dato
che
le
storie
sono
sempre
le
stesse
e
le
informazioni
pari a zero; tanto per arrivare all’ora di cena, ecco.
Da
circa
un
paio
d’anni,
o
poco
più,
non
manca
servizio
ai
tg[1]
che
analizzi
una
sorprendente
innovazione
ecologica
o
una
mostra
d’arte
a
tema
ambientale.
Non
sono
contro
ciò
che
mira
a
preservare
la
natura.
Macché!
Chissà
che
darei
pur
di
udire
ancora
le
ranocchie,
pur
di
incontrare
qualche
farfalla,
qualche
grillo,
qualche
lucciola
[2],
pur
di
modificare
la
nostra
civiltà.
Il
fatto
è
che,
dopo
anni
di
esistenza
del
tutto
inutile,
la
mia
tolleranza
per
le
idiozie
è
carente:
nell’inutilità
la
coscienza
si
acuisce
e
le
emozioni
si
affievoliscono.
Assistere
alla
vanità
di
santificare
eventi
che
di
ecologico
hanno
soltanto
il
nome,
lo
devo
ammettere,
fa
male.
E
poi
è
difficile
conciliare
la
pazienza
della
logica
con
dei
miserabili
imbrogli
ambientali
[3].
Imbrogli
che
non
solo
compromettono
il
reale
processo
ecologico,
bensì
contribuiscono
a
“sponsorizzare”
la
posizione
meno
sana
(sì,
la
metto
in
questi
termini)
di
ciò
che
dovremmo
intendere per ecologia.
Ora
avviciniamoci
al
nostro
campo,
con
piccoli
passi.
Le
modalità
con
cui
l’arte
contemporanea
tratta
i
temi
ambientali,
fuori
da
qualsiasi
tentativo
di
sottolineare
i
fallimenti
culturali
ed
economici,
fuori
da
una
riflessione
concreta
o
da
un
impianto
pedagogico,
con
mostre
ridicole
che
contengono
opere
ridicole,
sorrette
da
scritti
critici
ridicoli
i
cui
autori
sono
infidi
e
palesemente
impreparati,
a
mio
avviso
costituiscono
un
pericolo
la
cui
gravità
è
pari
all’esplosione
di
una
centrale
nucleare,
ma
al
rallentatore.
Il
pericolo
maggiore,
il
punto
di
non
ritorno,
lo
raggiungeremo
quando
saranno
resi
sterili
quei
saperi
dell’ecologia
“buoni”
a
colpire
e
scardinare
i
dogmi
in
cui
le
società occidentali sono cadute.
Da
cosa
nasce
questo
timore?
Due
le
risposte.
La
prima
sta
per
realizzarsi,
purtroppo.
Anticipo
un
accenno
con
questo
esempio.
Quando
sradichiamo
un
sapere
dal
suo
terreno,
e
lo
forziamo
in
altri
terreni,
non
facciamo
altro
che
minacciare
le
sue
possibilità
di
sopravvivenza.
Mi
spiego
meglio,
con
la
stessa
metafora.
Da
quando
l’ecologia
è
entrata
in
terreni
a
lei
estranei,
come
la
politica,
l’attivismo,
i
media,
i
social,
la
didattica
scolastica
[4]
ecc.
è
diventata
di
una
banalità
sconcertante.
Anzi,
si
è
proprio
disgregata.
Ciò
è
accaduto
per
un
motivo
semplice:
è
da
scellerati
installare
l’ecologia
in
quei
terreni
“inquinati”
dalle
stesse
spinose
questioni che tale scienza confuta da sempre.
Seconda
risposta,
leggermente
più
complessa.
L’arte,
per
quel
poco
che
ne
sappiamo,
è
comunque
un
linguaggio.
Spesso
questo
linguaggio,
da
adattivo
[5],
s’è
ridotto
ad
accontentare
la
fame
di
divertissement
delle
élite,
o
a
ricoprire
alcuni
centimetri
quadrati
sulla
parete
di
una
galleria,
di
un
museo,
racchiudendo
la
sua
essenza
in
una
manifestazione
“pornografa”.
Caso
di
specie
degli
ultimi
secoli
è
tutta
quella
arte,
o
merce,
che
è
stata
osannata
dai
due
continenti
affacciati
sull’Atlantico.
Questa
arte
ha
danneggiato
il
pensiero
speculativo
e
ha
costruito
l’identità
di
un
ampio
asse
geografico
che,
riunendosi
politicamente
sotto
la
fede
al
commercio,
ha
perduto
la
bellezza
di
un
senso
passionale,
vario
e
tremulo
come
il
gusto.
Questa
arte
–
nulla
di
più
lontano
da
un
savoir-faire
che
sarebbe
d’uopo
ripristinare
–
è
oggi
indiscutibilmente
tale,
anche
se
non dovrebbe.
Ripeto
e
sintetizzo:
il
mio
timore
è
che
ridicolizzando
l’ecologia
mediante
l’arte,
o
meglio
mediante
ciò
che
finora
ha
proposto
questa
arte
esibizionista,
l’ecologia
possa
perdere
il
suo
profilo
più
importante:
la
vitale
alternativa
allo
squallore
corrente.
Ebbene,
perdendo
ciò,
l’ecologia
verrà
neutralizzata.
E
siccome
essa
è
l’ultimo
“appiglio”
rimastoci
prima
dell’inevitabile
epilogo
dell’essere
umano
sulla
faccia
della
Terra,
be’,
se
ci
teniamo
giusto
un
po’
al
nostro
destino,
sarebbe
corretto
evitare
che
venga
catturata
e
seviziata
per
sollazzare
il
pubblico
annoiato
(un
pubblico
che
pone
più
attenzione
alle
serie
tv
di
Netflix,
che
alle
tragedie
della
nostra
epoca).
In
altre
parole,
non
possiamo
permetterci
che
questo
prezioso
sistema
scientifico
–
l’ecologia,
appunto
–
venga
manipolato
da
un
sistema
strampalato
–
l’arte
–
il
cui
scopo
è
lo
show
onanistico.
Forse
è
un
timore
ancora
precoce,
ma
fondato.
Fondato
perché
l’arte,
ne
abbiamo
le
prove,
è
incline
a
scadere
nello
squallore [6].
Quello
che
in
questo
momento
mi
pare
di
vedere,
da
mostra
a
mostra
e
da
pubblicazione
a
pubblicazione,
è
pura
e
becera
retorica:
qualche
citazione
strappata
dai
libri
di
biologia,
di
filosofia
ambientale,
di
etica
ecologica
(l’ipotesi
Gaia
di
Lovelock,
la
Biofilia
di
Wilson,
l’ecologia
delle
idee
di
Bateson,
la
Decrescita
felice
di
Latouche,
l’ecologia
sociale
di
Bookchin
ecc.),
artisti
e
opere
che
ripetono
allo
sfinimento
concetti
scontati
e
“immobili”
creativamente,
e
una
critica
d’arte
che,
priva
di
funzione
ormai
da
anni,
si
sta
rivelando
addirittura
superflua,
di
intralcio.
Il
succo
di
tutto
ciò
è
una
teoria
artistica
della
natura
in
diorama.
Desolante,
tanto
desolante…
Finché
l’interesse
dell’arte
per
un
tema
davvero
impellente
sarà
questo,
mantenendo
vecchi
modelli,
e
per
il
piacere
burocratico
dello
spettacolo,
allora
quello
che
hai
appena
letto
sarà
indispensabile
unicamente
alla
toilette
come
carta per igiene personale.
Note
1. Mi riferisco ai tg perché incidono moltissimo alla formazione
delle opinioni popolari.
2. Questi sono solo alcuni desideri estetici. Tuttavia, con il
lockdown, qualche ape in più rispetto al passato l’ho
incontrata. Sarà una mia illusione.
3. Come gli orti verticali, le automobili elettriche, l’energia
“cosiddetta” verde, le bioplastiche, l’agricoltura chic, l’economia
green ecc.
4. Il mio auspicio sarebbe, magari, rivoluzionare la didattica
(che è in stallo) e cominciare a trattare per i prossimi dieci o
venti anni la “Deep ecology” nelle scuole, sempre che le scuole
ne intuiscano l’importanza ed eliminino dai loro programmi
ogni carattere “concorrenziale”.
5. Per approfondire questo tema, rinvio al mio libro intitolato
“La gonna di Baubò”, Villaggio Maori Edizioni.
6. Squallore personificato da coloro i quali la attuano o
frequentano
Per gentile
concessione della
rivista
Ho
trovato
questo
articolo
assai
interessante
e
in
notevole
sintonia
con
le
opinioni
di
molti
lettori
e
amici
del
mio
blogMagazine.
Anche
riflessioni
come
questa
concorrono
intensamente
-
mi
pare
-
a
determinare
un
«campo»
di
idee
e
giudizi
assai
fruttuoso
per
la
nuova
fase
civile,
politica
e
culturale
che
si
apre
in
questi
mesi.
Lo
pubblico
dunque
qui
integralmente,
ringraziandone
l’autore
e la rivista Segnonline. (G.S.)